La clausola di salvaguardia si è mangiata metà del premio per i docenti
Nell’articolo 64 della legge 133/2008 per la riforma e la razionalizzazione del sistema di istruzione c’è un passaggio in gergo burocratico, al comma 8, che nasconde una pesante insidia: “Al fine di garantire l’effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio di cui al comma 6, si applica la procedura prevista dall’articolo 1, comma 621, lettera b) , della legge 27 dicembre 2006, n. 296”.
Come nel gioco delle scatole cinesi, si guarda al comma 6 dello stesso articolo di legge e si ritrova la quantificazione dei risparmi di spesa per il triennio 2009-2011; una quantificazione che, in base al successivo comma 9 serve indirettamente a quantificare anche l’ammontare delle quote di risparmio, pari al 30%, destinate a premiare i docenti.
Continuando nel gioco delle scatole cinesi, il comma 8 fa rinvio ad una procedura prevista dalla legge finanziaria 2007 (governo Prodi, ministro Padoa-Schioppa); procedura altrimenti nota come “clausola di salvaguardia”.
Considerando che, tra il 2009 e il 2010, era previsto un risparmio complessivo di 2.106 milioni (con conseguente quota virtuale del 30%, pari a 631,8 milioni da riservare alla premialità), ma che dai calcoli della Ragioneria Generale dello Stato risulta disponibile effettivamente per le finalità del 30%, a quanto sembra, una somma utile di 351 milioni, si deve constatare che i tagli di organico sono stati inferiori all’attesa e i risparmi mancati hanno fatto scattare la clausola di salvaguardia.
Secondo la clausola di salvaguardia, i quasi 281 milioni mancanti (631,8 – 351) avrebbero dovuto colpire il bilancio del Miur in capitoli vitali, invece, con tutta probabilità, si è scelto il male minore, dirottando gli effetti negativi sui contenuti del 30% che, in questo modo, ne è uscito con le “ossa rotte”, passando dal virtuale 30% al più modesto 16,7% dei risparmi da destinare al personale: persa quasi la metà.
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