ITS/2. È possibile una via italiana al modello tedesco?
Sui numerosi tentativi di realizzare in Italia un sistema di istruzione superiore alternativo, o almeno complementare, a quello universitario, Tuttoscuola è tornata più volte nel tempo sia nella sua versione a stampa sia, a partire dal 2001, con notizie e commenti inseriti nella newsletter settimanale.
Il filo rosso delle nostre argomentazioni è sempre stato la ricostruzione o l’indicazione delle ragioni per le quali tali tentativi sono ripetutamente falliti. Tra gli interventi pubblicati online quest’anno, dopo la costituzione del governo Draghi, segnaliamo i due dedicati al ritardo accumulato dall’Italia in materia e alle nuove prospettive apertesi con l’avvento dell’ex presidente della BCE (con fama di ‘tedesco’) alla presidenza del Consiglio e dell’economista Patrizio Bianchi alla guida del ministero dell’Istruzione.
Il quadro politico è profondamente cambiato, e il riferimento obbligato al PNRR, nel quale compare un riferimento esplicito, adeguatamente finanziato (un miliardo e mezzo di euro), allo sviluppo degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), rende più concreta la possibilità di una svolta. Sarà adottato finalmente, almeno per l’istruzione superiore, il mille volte evocato modello tedesco, che alle Università (1.750.000 iscritti) affianca in condizioni di effettiva pari dignità (cioè senza alcuna subordinazione gerarchica o di prestigio sociale) le Fachhochschulen (1.074.000 iscritti), dette anche Università di Scienze applicate (dati 2020)?
La risposta a questa domanda non può che essere negativa. È troppo tardi. E manca in Italia (tranne che in alcune esperienze dei Salesiani) quel rispetto del valore educativo del lavoro che è stato alla base, in Germania e in altri Paesi, del successo del ‘sistema duale’ (apprendistato formativo più studio) a livello di istruzione secondaria e delle Fachhochschulen (varate nel 1968) a livello di istruzione terziaria. I più importanti studiosi di Educazione comparata concordano, d’altra parte, sull’estrema difficoltà di importare i modelli educativi (borrowing) perché i sistemi scolastici nazionali sono radicati nella storia politica, istituzionale e culturale di ciascun Paese. All’Italia serve trovare una soluzione originale, che tenga conto della sua storia. Ne parliamo nella notizia successiva.
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