Formazione tecnica superiore/2. Sarà la volta buona?

L’impianto curricolare degli ITS è solido, e corrisponde ai modelli internazionali: molte attività di laboratorio, tirocini (anche all’estero) obbligatori per almeno il 30% del monte ore complessivo, 50% del corpo docente proveniente dal mondo del lavoro e delle professioni. E anche le sei aree tecnologiche individuate sembrano scelte con cura: Efficienza energetica, Mobilità sostenibile, Nuove tecnologie della vita, Nuove tecnologie per il Made in Italy (Sistema agroalimentare, Sistema casa, Sistema meccanica, Sistema moda, Servizi alle imprese), Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali e il Turismo, Tecnologie della informazione e della comunicazione. Inoltre l’80% dei diplomati ha trovato lavoro entro un anno, in genere in un settore corrispondente al diploma conseguito.

Importante il parere del neo ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi, espresso per Tuttoscuola poco prima di ricevere l’incarico: “Indubbiamente gli ITS non hanno ancora raggiunto un livello di visibilità tale da poter essere individuati come istituzione educativa unitaria in grado di garantire una collocazione stabile negli studi e nel lavoro, con percorsi altrettanto stabili e riconosciuti come quelli offerti storicamente dalle università.

Qui dunque vi sono molti nodi che vanno sciolti per poter procedere sulla via di una formazione tecnico-professionale avanzata.(…)

Infine – ricordiamolo – l’offerta di una formazione tecnica superiore si deve aggiungere e non sostituire alle attuale offerte secondarie e universitarie, per contribuire a colmare quel deficit educativo, sia in termini di dispersione scolastica, che di basso livello di istruzione, che il nostro Paese ha rispetto a tutti gli altri paesi avanzati e che rischia di essere il vero freno ad una ripresa successiva non solo alla crisi pandemica, ma anche all’uscita da trenta anni di stagnazione e bassa crescita” (“ITS, una riflessione dieci anni dopo”, Patrizio Bianchi , Tuttoscuola marzo 2021).

Perché dunque gli ITS hanno avuto finora una così modesta affermazione, dal punto di vista quantitativo, in Italia? E che possibilità hanno di contribuire a colmare quell’enorme gap che mette l’Italia all’ultimo posto in Europa per numero di laureati/diplomati nella fascia dell’istruzione terziaria?

A queste domande prova a rispondere Alessandro Mele in un articolo pubblicato nel supplemento ‘Buone Notizie’ del Corriere della Sera. Una prima spiegazione del mancato decollo degli ITS potrebbe essere collegata al loro insufficiente finanziamento. Ostacolo che però potrebbe essere rimosso dal miliardo e mezzo di euro stanziati per la crescita degli ITS dal Recovery Plan. Basterebbe un più adeguato finanziamento? No, se non accompagnato da altre misure che avvicinino il sistema ITS ai modelli europei indicati nella precedente notizia. Mele suggerisce, in questa direzione, “in primo luogo l’istituzionalizzazione dell’attività degli ITS, attraverso la stabilizzazione delle risorse e il superamento della logica del finanziamento per bandi a favore del merito, sulla base dell’analisi dei risultati (in termini di occupazione, coerenza dell’impiego con il percorso, iscrizioni, etc). In secondo luogo, l’aumento del numero di corsi e non del numero di fondazioni” perché “diversamente dalla formazione di base, cui è richiesta una capillarità territoriale molto spinta, quella specialistica deve poter aggregare le migliori competenze attorno a qualificati centri per la formazione, la ricerca applicata e il trasferimento tecnologico”. E infine una modalità di investimento che sia nel tempo “decrescente in conto capitale per le strutture (sedi, laboratori, studentati), crescente per l’auspicato incremento degli allievi nei prossimi 5 anni di attuazione del piano, fino a raggiungere gli obiettivi previsti dal piano stesso”.

Basteranno queste misure di carattere organizzativo e finanziario per consentire agli ITS (o Academies, o come si vorrà chiamarli) di diventare una vera alternativa all’Università? A nostro avviso servirà anche un efficace e capillare lavoro di orientamento (già dalla scuola media, preceduto da attività di formazione dei docenti), una robusta campagna di comunicazione verso le famiglie e un lavoro di raccordo degli attuali Istituti tecnici e professionali con questa fascia dell’istruzione superiore, da concepire come il naturale sbocco e completamento degli studi compiuti a livello secondario.