Formazione tecnica superiore/1. Un ritardo di 50 anni

La formazione tecnica superiore (vista in una cornice storica, non tanto con riferimento ai “giovani” ITS) è stata finora bloccata, in Italia, da una oggettiva alleanza conservatrice stabilitasi di fatto tra accademici universitari, burocrazia ministeriale e magistratura formalista e miope.

Come Tuttoscuola ha avuto modo di raccontare in passato, risalgono a cinquanta anni fa le iniziative intraprese in Europa, e anche in Italia, per varare un sistema di formazione tecnica superiore applicata alternativo rispetto ai percorsi universitari. Ma mentre la Germania varava le Fachhochschulen (1968), e decisioni simili venivano prese in Francia (gli IUT triennali nascono nel 1966, e si aggiungono ai corsi biennali BTS, Brevet de Technicien Superieur, introdotti nel 1962) e nel Regno Unito (i Polytechnics nascono nel 1965), l’Italia vedeva arenarsi nel giro di un anno il suo tentativo di avviare analoghi percorsi in via sperimentale in sette istituti tecnici d’eccellenza, capeggiati dall’ITIS Malignani di Udine. Fu la Corte dei Conti a bloccare l’iniziativa nel 1970 con una motivazione tipicamente burocratica: l’incompetenza del MPI a rilasciare titoli al di là del diploma di maturità (era previsto il rilascio del diploma di “tecnologo”). Ma il sistema politico di allora, anche per responsabilità delle potenti lobbies universitarie, ostili al progetto, non ebbe la forza di imporre quella che sarebbe stata una svolta decisiva per la scuola e l’istruzione superiore italiana.

Per iniziativa del ministro (e ingegnere) Antonio Ruberti, vent’anni dopo, le università furono invitate a istituire al proprio interno Diplomi universitari, di durata triennale, che andarono incontro a un rapido fallimento perché le università si dimostrarono incapaci di gestire percorsi di formazione superiore applicata, troppo distanti dalle loro tradizioni accademiche. E anche perché Ruberti dovette cedere alla pretesa del mondo universitario di porre i trienni in sequenza con le lauree (mentre l’idea giusta sarebbe stata quella di metterli in parallelo).

Anche il ministro Moratti costituì nel 2003 un gruppo di lavoro, guidato dall’ing. Gian Carlo Zuccon, già coordinatore della prima fase della commissione Brocca, con il compito di promuovere, partendo sperimentalmente da una quindicina di sedi, una rete nazionale di almeno 60 istituti superiori, denominati Istituti Superiori di Tecnologia (IST). Tentativo anch’esso bloccato, a distanza di pochi mesi, dalla mancanza di certezze finanziarie e giuridiche, oltre che dalla ribadita ostilità del mondo universitario (facoltà di Ingegneria in testa) ad attribuire il titolo di “Ingegnere diplomato” a chi completava questo percorso: lo stesso titolo, si noti, riconosciuto in Germania a chi esce dalle Fachhochschulen, mentre il titolo di “Ingegnere” senza ulteriori specificazioni è riservato a chi esce dalla Universität.

In Italia bisognerà attendere il 2010 per vedere nascere un ristretto numero di ITS (Istituti Tecnici Superiori, biennali e in qualche caso triennali), che in dieci anni hanno diplomato poche migliaia di studenti all’anno restando lontanissimi dai numeri (centinaia di migliaia) registrati nelle corrispondenti istituzioni dei Paesi prima indicati.

Con l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio e di Patrizio Bianchi al Ministero dell’Istruzione, entrambi fautori di un robusto terziario non accademico, le cose sembrano destinate a cambiare. Sarà la volta buona? Ne parliamo nella successiva notizia. (O.N.)