Istruzione e formazione professionale/2. Serie A e serie B

Ormai è chiaro. Secondo il ministro Moratti gli istituti tecnici passano tra i licei. Confindustria e la maggior parte dei sindacati plaudono. Si può dire anzi che abbiano voluto questo risultato, se un comunicato della Cgil del 25 gennaio parla di lotta per impedire «il precipitare nel buco nero dell’istruzione-formazione professionale regionalizzata» degli attuali istituti tecnici e professionali.
Traduzione: il rischio è che rimarranno nell’istruzione e formazione professionale soltanto gli alunni più svalutati dalla scuola secondaria di I grado, oppure i “falliti” dei licei. Il messaggio sociale e culturale è davvero deludente: l’istruzione e la formazione professionale sono percorsi formativi residuali e di minor valore educativo, culturale rispetto ai licei.
Come possono rivendicare, a questo punto, un qualche significato professionale, se oggi non esiste professione che non debba fare i conti, e con intensità, con l’educazione e la cultura? Inoltre, risulta confermata nei fatti l’obiezione finora soprattutto ideologica della scelta precoce: se davvero a 14 anni i ragazzi devono scegliere tra un percorso di serie A e uno di serie B, come non convenire con chi teme che si tratti di percorsi che predeterminano in maniera irreversibile il destino non solo culturale, ma anche sociale dei ragazzi, fra l’altro semplicemente confermando le condizioni sociali di partenza, visto che di solito i figli dei poveri scelgono la scuola dei poveri?
Gli sforzi compiuti in questi anni soprattutto da Bertagna per difendere la pari dignità tra i percorsi e di impegnarsi perché, nella futura scuola del nostro paese, non si abbassasse la qualità dei licei, ma si innalzasse, come è necessario in una società della conoscenza, quella dell’istruzione e formazione professionale, sono falliti nell’indifferenza generale.
Infine, risulta confermata una minorità istituzionale. C’è un bel dire che il Titolo V e la sentenza della Corte costituzionale n. 13 del gennaio 2004 prefigurano il passaggio obbligatorio alle regioni della gestione del personale delle scuole di ogni ordine e grado e dell’organizzazione delle stesse sul territorio. Per chi ha redatto i decreti miniseriali, per i sindacati e per Confindustria si continua a ragionare in termini di sottrarre i licei al buco nero delle regioni e di lasciare ad esse, proprio perché non se ne può fare a meno, solo gli attuali percorsi sperimentali triennali e al massimo quadriennali. Tutto il resto allo Stato. Come se Stato e Regioni fossero due entità istituzionali “nemiche” e non articolazioni dell’unica Repubblica Italiana.