Iscrizioni 2010-2011 /3. E se la scelta fosse anticipata al quarto anno?
Da anni, ancora prima che l’ex ministro Luigi Berlinguer si ponesse in concreto il problema di come far concludere gli studi prima dell’università a 18 anziché a 19 anni (come avviene in quasi tutto il mondo), si discute in Italia sulle diverse soluzioni. Almeno tre: anticipo dell’inizio della scuola primaria a 5 anni (o in alternativa ultimo anno della scuola dell’infanzia obbligatorio con scuola elementare di 4 anni), taglio di un anno della scuola di base (soluzione poi scelta da Berlinguer), taglio di un anno della scuola secondaria superiore.
Quest’ultima ipotesi avrebbe avvicinato la secondaria italiana a quella di altri Paesi, dove quasi mai dura cinque anni (in Francia, Svezia e Giappone dura tre anni, negli USA quattro, in Spagna addirittura due), ma non è mai stata realmente perseguita in Italia. Letizia Moratti la prese in considerazione all’inizio del suo mandato di ministro, ma si affrettò a ritirarla di fronte alle immediate prese di posizione della sua stessa maggioranza, schierata per il mantenimento dei cinque anni, soprattutto per i licei. E ripiegò sulla non soluzione dell’anticipo di mezzo anno della iscrizione alla scuola primaria. Poi più nulla, fino ai recenti regolamenti Gelmini, che confermano i cinque anni.
Ma la scorsa settimana la proposta dei quattro anni è stata autorevolmente rilanciata dal rettore dell’università Bocconi di Milano Guido Tabellini, che l’ha giustificata con l’obiettivo di anticipare di un anno l’accesso all’università, allineando l’Italia alla situazione media europea (e mondiale, aggiungeremmo). Una proposta forse poco tempestiva, nel senso che arriva a riforma ormai disegnata. Subito la Gilda degli insegnanti si è opposta, parlando di “bestialità”, mentre il segretario della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo ha aperto alla proposta, ma subordinandola all’innalzamento dell’obbligo (“scolastico”, ha specificato) fino a 18 anni e alla profonda riforma dei cicli precedenti: un modo diverso per dire di no.
Più costruttiva la reazione del segretario della Uil scuola, Massimo Di Menna, che propone non di “tagliare” il quinto anno ma di intervenire su di esso facendolo diventare “una parte del percorso universitario, post diploma“. Proposta da approfondire se dovesse dar luogo, a condizioni da definire (ma già in parte prefigurate nella riforma Moratti), ad un più stretto raccordo tra scuola e istruzione superiore (universitaria e non), tanto da arrivare al riconoscimento di una sostanziosa quota di CFU (crediti formativi universitari). Anche così, con una riforma senza spesa, si potrebbe cercare di risolvere il problema della anomala durata della nostra scuola.
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