Invalsi/4. La lunga marcia verso la valutazione di sistema in Italia

Malgrado i dubbi degli esperti e le preoccupazioni degli insegnanti, tuttavia, una retromarcia sulla valutazione di sistema sarebbe per l’Italia un fatto gravissimo, perché segnerebbe la sconfitta di tutti coloro che negli ultimi vent’anni (almeno) si sono battuti perché anche da noi, come in quasi tutti i Paesi ad elevato sviluppo economico e sociale, fosse istituito un Servizio nazionale di valutazione, capace di orientare le politiche nazionali (ma anche locali) verso la ricerca di traguardi più avanzati sul doppio versante della qualità e dell’equità del sistema educativo.

Un battaglia condotta, con motivazioni diverse, dall’ampio e variegato schieramento che ha sostenuto da una parte l’autonomia delle istituzioni scolastiche e dall’altra il decentramento istituzionale, sfociati nella legge n. 59/1997 (Bassanini 1), nella revisione del Titolo V della Costituzione ma anche, successivamente, nel morattiano decreto legislativo n. 286/2004 (Norme generali sul sistema nazionale di valutazione) e nella riforma dell’Invalsi effettuata dal ministro Fioroni con la Finanziaria 2007.

Si tratta di una linea di tendenza che al di là  – è bene ripeterlo – delle diverse motivazioni concepiva il Servizio nazionale di valutazione (che non si occupa solo, banalmente, dei livelli di apprendimento degli allievi) come l’indispensabile complemento dell’autonomia delle scuole, una bussola per il governo strategico di un sistema scolastico “deministerializzato”, postgerarchico, ma proprio per questo esposto al rischio dell’autoreferenzialità localistica.

L’insabbiamento della valutazione di sistema, in assenza oltretutto per chissà quanto tempo di un rafforzato servizio ispettivo capace di accompagnarne le azioni sul territorio, significherebbe abbandonare le scuole a se stesse, un gigantesco do it yourself  (elegante versione anglosassone del nostro arrangiatevi) nel quale avremmo scuole non autonome ma autarchiche. A chi conviene?