Valutazione: quali standard di qualità del servizio scolastico?

Di Paolo Mazzoli

Con la sola eccezione dell’insegnamento della lingua straniera, dall’avvio dell’autonomia scolastica a oggi non sono stati definiti veri e propri standard della qualità del servizio scolastico, né dallo Stato, né dalle regioni per le materie di loro competenza. Quando uscirono le Indicazioni nazionali alcuni commentatori si posero il problema della possibilità di utilizzare le Indicazioni nazionali come standard di qualità degli apprendimenti, ma è chiaro che così non è[1]. Un repertorio di standard di qualità dovrebbe consentire una misura oggettiva del loro effettivo raggiungimento, esplicitando anche le modalità e le condizioni nelle quali dovrebbe effettuarsi tale misura.

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Quando non si dispone di standard di riferimento di un servizio, teoricamente non potremmo neanche valutarlo. Tuttavia nel corso del tempo la progressiva evoluzione delle prove standardizzate nazionali e la messa a sistema del RAV hanno in qualche modo supplito alla mancanza di standard ufficiali.

A partire dall’introduzione delle prove nazionali al computer (computer based testing (CBT)) l’analisi dei risultati delle prove Invalsi ha consentito di definire cinque livelli progressivi di competenza in Italiano e Matematica che si aggiungono ai livelli di competenza desunti dal QCER per l’Inglese. Tenendo conto che, come si è detto, i quadri di riferimento delle prove Invalsi sono strettamente connessi ai traguardi riportati nelle Indicazioni nazionali e nelle Linee guida possiamo considerare i livelli Invalsi come un primo passo verso l’individuazione di standard di competenza per due fondamentali discipline.

Un discorso analogo può essere fatto con riferimento al RAV.

Nel RAV sono infatti definiti indicatori quali-quantitativi che riguardano sia gli esiti scolastici che i processi che si svolgono a scuola. Basti pensare, ad esempio, all’aree inerenti al curricolo, l’inclusione, la continuità, la formazione dei docenti e l’interazione con il territorio e le famiglie. Sono tutti aspetti che definisco la qualità del servizio scolastico, pur non costituendone lo scopo principale che resta quello di sviluppare adeguati livelli di apprendimento in tutti gli studenti, e che grazie al RAV possono essere valutati, sia pure in modo qualitativo, con le rubriche proposte alla fine di ogni area.

Non dobbiamo però dimenticare che il RAV è uno strumento di autovalutazione (ancorché guidata) ed è per questo che il legislatore che ha definito finalità e procedure del Sistema nazionale di valutazione (SNV) ha previsto la visita periodica dei Nuclei esterni di valutazione (NEV). In questo modo, nel disegno del Regolamento del 2013, si era costruito un dispositivo estremamente equilibrato che, non a caso, è stato apprezzato anche al livello internazionale[2].

In sintesi possiamo dire che la mancanza di standard di riferimento non dovrebbe impedire una affidabile valutazione di efficacia, a tutti i livelli (sistema nazionale, scuole, singoli docenti), perché disponiamo ormai non solo di prove standardizzate nazionali di buona qualità ma anche perché, grazie al RAV, i risultati delle prove, insieme a una notevole quantità di indicatori e descrittori di esito e di processo, sono inseriti nel contesto di ogni istituzione scolastica e possono quindi consentire di passare dalla semplice comparazione dei dati quantitativi a una appropriata interpretazione che permetta di formulare una descrizione sufficientemente accurata di ogni scuola e, quel che più conta, l’elaborazione di percorsi di miglioramento saldamente ancorati a precisi tempi e obiettivi

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[1] Ad esempio nel testo di G. Allulli, F. Farinelli e A. Petrolino “L’autovalutazione di istituto” (edito da Guerini e associati nel 2013), si dice esplicitamente (p. 23): “Quanto alla scarsa familiarità degli studenti italiani con le prove somministrate in forma di test, era anch’essa un elemento su cui riflettere in quanto segnale di un’altra tipicità non proprio positiva e certamente non immodificabile del nostri sistema scolastico, cioè la sostanziale assenza di un quadro preciso di standard condivisi di riferimento”.

[2] L’interesse per gli strumenti di autovalutazione elaborati in Italia è emerso, ad esempio, in una recente Conferenza internazionale organizzata in modalità virtuale dalla rivista Scuola democratica alla quale hanno partecipato numerosi paesi europei (“Reinventing Education” – 2-3-4-5 june 2021). Riferimenti: https://www.scuolademocratica-conference.net/ .