Immaginare il nuovo: la scuola di fronte alla sfida del futuro

Un esercito di dieci milioni di studenti ha ripreso nelle scorse settimane posizione nelle aule della nostra scuola. Insieme agli studenti, sono entrate in classe le loro aspettative sul futuro, la domanda, anche se inconsapevole o implicita, di un accompagnamento adeguato. A riceverli una schiera di insegnanti, di tutti gli ordini e gradi scolastici. Messi di fronte agli occhi dei loro alunni, messi di fronte alle loro inquietudini e alle loro aspettative, consapevoli di avere una responsabilità così grande, da non poter stare tranquilli, ad affrontare un compito, spesso, troppo spesso, quasi in solitudine, perché si è rotto il patto educativo che collegava la scuola alla famiglia e alla comunità sociale, che garantiva l’unitarietà di un messaggio che a casa, a scuola, nelle istituzioni, nella vita di quartiere, comunicava valori condivisi. In un contesto di disorientamento e sfiducia, educare oggi è più difficile. Ne ha parlato Italo Fiorin in un articolo pubblicato sul numero di settembre di Tuttoscuola.

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 L’educazione ha per sua natura il compito di misurarsi con il futuro. Questo è vero per tutti gli insegnanti che sono impegnati a preparare i loro studenti ad acquisire la strumentazione indispensabile a vivere nella società in maniera autonoma, competente e responsabile. Per quanto sia importante che la vita nell’aula sia significativa anche nel suo svolgersi quotidiano, è ancora valido quanto scriveva Seneca: “Non scholae sed vitae discimus” (non impariamo per la scuola, ma per la vita). Ma il futuro non esiste ancora, bisogna prefigurarselo. Oggi l’impegno di scrutare il futuro è reso molto più difficile rispetto al passato, dal momento che la società industriale nella quale sono stati messi a punto i riferimenti per l’elaborazione dei curricoli scolastici non esiste più. Se un tempo il compito della scuola consisteva nel trasferire ai giovani il patrimonio di conoscenze accumulato, oggi il sistema educativo deve misurarsi con cambiamenti sempre più profondi e accelerati, così che anche il ruolo dell’esperienza come fonte di apprendimento risulta ridimensionato. L’insegnante deve conquistare una autorevolezza che non deriva più dal prestigio che gli conferisce una lunga esperienza, ma dal suo saper ripensare contenuti e modalità didattiche per fornire l’attrezzatura oggi indispensabile ad affrontare l’incognito. “Si potrebbe essere tentati di far poco caso al futuro nella misura in cui non esiste e non è possibile conoscerlo in anticipo. Ma sarebbe una scelta esiziale. Per quanto difficile possa essere prevedere ciò che accadrà, le decisioni che riguardano il futuro vanno assunte oggi”[1]

Elaborare un curricolo significa affrontare la sfida del futuro. Ecco perché non è sufficiente fare riferimento alla propria esperienza, alla pratica consolidata. Immaginare il nuovo è il grande compito della programmazione, che non può essere risolto una volta per tutte, ma che richiede una revisione continua, perché le ipotesi sul futuro che sorreggono la scelta degli obiettivi, dei contenuti e dei metodi didattici vanno continuamente verificate e hanno bisogno di una costante manutenzione.

Nell’attuale contesto di incertezza si evidenziano molte impegnative sfide per l’educazione. Qui ne segnaliamo in particolare tre: la sfida della diversità; la sfida della globalizzazione e la sfida della localizzazione.

La sfida della diversità

Ogni sezione, ogni classe è un piccolo mondo nel quale la diversità ne è la cifra caratterizzante. Ci sono delle diversità evidenti o facilmente evidenziabili, quelle dell’età, quelle dell’appartenenza culturale, talvolta quelle legate a qualche disabilità o situazione di particolare fragilità. Ma ci sono altre diversità che non emergono così facilmente e che pure vanno considerate. Sono le diversità che maturano nel contesto sociale e culturale. Non che sia un problema nuovo, dal momento che da sempre la scuola accoglie alunni che vivono in famiglie i cui genitori hanno formazione, valori, reddito, abitudini diverse, ma oggi l’eterogeneità è fortemente accresciuta dal tipo di esperienze che i bambini sperimentano, dal momento che l’ambiente extrascolastico è molto più ricco di occasioni di apprendimento grazie alla familiarità di accesso ai tanti media. Se un tempo i bambini imparavano la maggior parte delle loro conoscenze a scuola, oggi il rapporto si è rovesciato; non è la scuola il luogo privilegiato di erogazione delle conoscenze.

Un ulteriore elemento che va considerato riguarda i modi di apprendere che hanno gli studenti. La ricerca sull’apprendimento ci ha reso molto più consapevoli di come ciascuno di noi sia caratterizzato da una molteplicità di modi di apprendere, che sviluppa in modo diversificato.

Un insegnamento standardizzato è improponibile, ma come realizzare un insegnamento su misura?

Un insegnamento su misura è un insegnamento rispettoso della diversità, sia culturale che cognitiva. Questa è una grande sfida per l’azione didattica ed educativa. Una programmazione che accolga questa sfida comporta una serie di scelte, di carattere organizzativo e didattico, molto impegnative. Ad esempio, vanno diminuiti i momenti di aula di carattere frontale a vantaggio di attività diversificate e organizzate per gruppi composti con vari criteri; vanno incentivate modalità di lavoro a coppia, vanno previste attività elettive, che gli alunni possano scegliere a piacere.

In definitiva, l’azione didattica deve riferirsi ai due grandi criteri, dell’individualizzazione e della personalizzazione. Con il termine individualizzazione ci si intende riferire alla programmazione di compiti di apprendimento definiti su misura del livello raggiunto dai singoli alunni. Un apprendimento risulta significativo quando comporta un certo grado di difficoltà, ma la difficoltà è sostenibile dal bambino, se dispone dei prerequisiti necessari. L’individualizzazione favorisce l’esperienza del successo nell’apprendimento, l’esperienza del successo alimenta il senso di efficacia del bambino, e una catena di successi contribuisce allo sviluppo dell’autostima, della fiducia in se stesso, sentimento fondamentale per affrontare positivamente il futuro.

La personalizzazione rappresenta una attenzione complementare all’individualizzazione. Consiste nel porre grande cura a favorire il ricorso alle diverse forme di intelligenza, così che ciascuno possa meglio valorizzare i propri punti di forza. Questo è possibile quando si utilizzano molteplici mediatori didattici, visivi, operativi, simbolici, ludici ecc. Inoltre la personalizzazione richiede che ci sia un grande rispetto per le scelte degli alunni e, naturalmente, un ambiente didattico che offra occasioni per tali scelte.

Una considerazione particolare riguarda il clima che circonda lo svolgimento delle varie attività. Si può favorire l’individualizzazione e la personalizzazione tanto in un contesto cooperativo che competitivo, ma il significato dell’esperienza scolastica che l’alunno vive è molto diverso. 

Bruner, a questo proposito, parla di curricolo clandestino: “il modo cioè in cui una scuola adatta un curricolo per esprimere il suo atteggiamento verso gli alunni, le sue idee razziali e il resto. (…) La scuola non può mai essere considerata culturalmente “indipendente”. Cosa insegna, quali modi di pensiero e quali “registri linguistici” effettivamente coltiva nei suoi alunni, non possono essere isolati dalla posizione che ha la scuola nella vita e nella cultura dei suoi studenti. Perché il curricolo di una scuola non riguarda solo degli “argomenti”. Il principale contenuto della scuola, vista culturalmente, è la scuola stessa[2].

Nel numero di settembre di Tuttoscuola, Fiorin ha anche illustrato altre due sfida, quella della globalizzazione e quella della localizzazione.

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[1] AA. VV, Personalizzare l’insegnamento, Il Mulino, Bologna, 2008, p.123-124.
[2] BRUNER J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 2001, p.41.