Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, come prepararsi al 21 marzo

 Il 21 marzo  è stato riconosciuto, con la legge n.20 dell’8 marzo 2017, Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Tutte le scuole sono invitate a promuovere attività per tenere viva la memoria. Il Ministero ha inviato una nota a tutti i dirigenti scolastici: “la mattina di lunedì 21 marzo p.v., studenti e docenti e laddove possibile anche in collaborazione con i coordinamenti territoriali di Libera, sono invitati a promuovere un momento commemorativo, attraverso la lettura dei nomi delle vittime innocenti delle mafie, sempre nel pieno e rigoroso rispetto delle normative anti Covid, vigenti alla data del 21 marzo”.

La Giornata di Libera quest’anno si terrà a Napoli. Perché Napoli? Spiega Libera: “Portare a Napoli il 21 marzo vuol dire accendere i riflettori su un territorio in cui le organizzazioni criminali fanno oggi uso della violenza per uccidersi, uccidere vittime innocenti, impaurire le donne e gli uomini, confliggere tra loro per fare affari e riorganizzare assetti di potere. Napoli è una delle città che ha maggiormente pagato un tributo di sangue innocente negli ultimi anni: il nostro elenco parla di giovani ragazzi che hanno perso la vita per mano della violenza camorristica; giovani dei quartieri popolari le cui speranze sono state stroncate da una guerra fatta per il controllo
della droga e del racket. Il nostro cammino di memoria ed impegno si rinnova tornando tra le strade di Napoli perché c’è bisogno di tutte le energie, le intelligenze, le forze e le reti per liberare la città da un potere criminale sempre più forte e violento dopo la pandemia”.

Come prepararsi al 21 marzo? Libera propone ai ragazzi delle scuole otto tracce di pensiero  che affrontano in maniera differenziata le forme di violenza verso le quali ci possiamo impegnare a costruire alternative di disarmo, partendo da noi stessi. Le tracce potranno essere utilizzate dalle scuole di ogni ordine e grado e dai presidi per ideare il proprio percorso di conoscenza, realizzando ricerca di materiali, producendo lavori collettivi che si inseriscano nei piani dell’offerta formativa già in essere, per istruire i percorsi nelle scuole e per le iniziative pubbliche. Vediamole:

Contesto 1. Inquadramento su mafie-corruzione e violenza oggi
La sopravvivenza e il rigenerarsi delle mafie poggiano ancora oggi su quelle coordinate che ci hanno permesso di riconoscerle e studiarle: soggetti organizzati per accumulare ricchezza e potere attraverso lo strumento “agito e agitato” della violenza. Una violenza fisica e diretta, ancora oggi devastante in molti territori e regioni del nostro Paese; una violenza di “forma” che passa attraverso l’esercizio di una educazione e cultura abusante, che rende schiavi, che opprime le vite delle persone; una violenza “differita” che in seguito ai fenomeni corruttivi sempre più diffusi, rivela le sue nefaste conseguenze a distanza di tempo. Tutte forme di violenza più o meno visibili, spesso silenti, ma con impatti devastanti sulla vita delle persone.
Si spara. Si spara ancora a Napoli e nelle città vesuviane. Dietro i colpi di arma da fuoco c’è una guerra di posizione territoriale, agita per il controllo delle piazze di spaccio, per il predominio del ricatto sui commercianti delle città. Una guerra che si gioca in basso tra diversi gruppi criminali nei quartieri, ma che racconta di una contrapposizione di vertice tra alleanze diverse che muovono interessi politici e imprenditoriali. In questi mesi, in maniera indiscriminata, sono esplose decine di
bombe fuori dai negozi dei commercianti e decine di persone hanno perso la vita per una rivalità territoriale legata a questa guerra tra reti criminali.
Attraverso il traffico illegale della droga, che vale decine di milioni di euro, si articolano corruzioni di apparati amministrativi ed economici in tutta la Campania. La violenza di camorra non è agita solo attraverso le armi, ma anche attraverso l’intombamento e l’appiccamento di rifiuti tossici che rappresentano ammalano e uccidono migliaia di donne, bambini e uomini.
Nonostante i duri colpi inferti ai clan in questi anni dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, colpi che hanno decimato i vertici delle organizzazioni criminali, non si è fermato il rigenerarsi delle camorre né tantomeno hanno bloccato il conflitto e la rivalità. La repressione dunque è necessaria, ma non basta. Occorre un lavoro culturale, lento, paziente e radicale: l’unica cura nonviolenta e necessaria per rigenerare persone e quartieri; occorrono risposte sociali e credibili: modelli di economia sociale e nuovo welfare di prossimità. Armarsi non può essere l’unico ascensore sociale possibile per emergere da contesti di povertà e marginalità sociale. La violenza non può essere il metodo “vincente” per imporre rapporti di potere e di controllo nei territori.  L’impegno nel “disarmo” deve riguardare tutti i livelli di violenza, con la consapevolezza che quanto più si scende di livello tanto più la violenza è radicata. La violenza, dunque, non è semplicemente lo strumento utilizzato dalle mafie per controllare i territori e conquistare fette di mercato illegale, ma è una coordinata culturale che rende possibile l’esistenza stessa delle organizzazioni criminali, il radicamento e la diffusione di un preciso modello sociale ed economico. Questo inevitabilmente produce accelerazioni ed escalation in alcuni territori in cui la
questione giovanile, la dispersione scolastica e la presenza storica delle mafie produce nuove forme di bande criminali estremamente giovani ed estremamente violente.
Si fa particolare riferimento a contesti caratterizzati da situazioni in cui povertà materiali e povertà culturali si intrecciano; sono i quartieri delle nostre tante e molteplici “periferie” in cui l’assenza di un possibile ascensore sociale e di strumenti culturali producono un vortice di violenze pubbliche e private che puntualmente si intrecciano. E tutto mentre le mafie verticalizzano i loro affari con un pezzo di élite imprenditoriale e finanziaria italiana, europea, globale. In questo contesto non possiamo che includere anche la violenza generata dalle pratiche corruttive. Infatti la pratica di qualsiasi forma di corruzione pubblica  implica necessariamente un esercizio
invisibile e impalpabile di molteplici forme di coercizione indiretta e il ricorso alle varie tipologie di corruzione si traduce anche in manifestazioni esplicite e riconoscibili di violenza. Anche la violenza della corruzione che rimane potenziale e inavvertita può produrre effetti drammatici, talvolta letali. Ciò accade quando la pratica della corruzione distorce e inquina i processi decisionali dell’apparato pubblico necessari a garantire e tutelare servizi pubblici essenziali – sicurezza, salute, vita – che sono
assicurati selettivamente ad alcune categorie di individui e negati coattivamente ad altri. L’impegno e la responsabilità attorno a questi temi è fuor di dubbio politica e educativa. La politica deve ripristinare l’applicazione dei diritti costituzionali, la presenza e l’accesso per tutti ai diritti, l’organizzazione di città che crescono in giustizia, la tenuta sui principi di pace, uguaglianza, libertà, accoglienza e dignità della persona.

Contesto 2. Mafie, machismi e violenza di genere
Le mafie, come si è visto, sono sistemi organizzati che fanno uso deliberato della violenza per affermare il proprio modo di stare al mondo e, così facendo, per consolidare il proprio potere e dominio su persone e cose. Nelle famiglie mafiose sono spesso le donne ad essere vittime di violenza. Una violenza che si protrae nel tempo, si ripete, alberga in ogni cosa, al punto che per molte ragazzediventa difficile distinguere ciò che bene da ciò che è male. Molte ritengono normale ciò che vivono.
Vengono controllate, rese schiave perché private della libertà di pensare, agire, scegliere, essere. Costrette al sacrificio personale in nome della famiglia; abusate e picchiate all’interno di una cultura machista e maschilista. Oppure indotte, come per alcune donne mafiose “di rango”, dalla stessa mentalità di obbedienza, a prendere le redini dei clan per conto dei mariti o dei fratelli in carcere. Ciò che accade nelle mafie accade, purtroppo anche attorno ad esse. La società nella quale viviamo è caratterizzata dalla presenza diffusa di violenza di genere praticata in tante forme e per opera, nella maggior parte delle situazioni, di persone conosciute: violenza fisica – femminicidio – vessazioni psicologiche – ricatti, minacce e persecuzioni – oppressioni economiche – abusi sessuali. Una violenza che nasce dalla crisi del patriarcato, del sistema diffuso del dominio degli uomini sulle donne; che nella sostanza è crisi e questione di potere. Che trova le sue radici nell’escalation del nuovo machismo che è direttamente proporzionale al crescere dell’autonomia delle donne e alla fragilità del genere maschile. Una violenza diffusa, che ha legami stretti tra contesti mafiosi e contesti
che apparentemente nulla hanno a che fare con le mafie; che trova sostegno e sviluppo nelle organizzazioni e nelle culture altrettanto violente della destra.

Contesto 3
Le rappresentazioni e la loro influenza sui giovani
Attorno a questo elemento contestuale ci preme prendere avvio da due evidenze: la prima, riguarda la consapevolezza che molti giovani desiderano essere dentro le trame e le dinamiche del quotidiano. Di esserci attivamente, in modo costruttivo e critico. Vivono un pianeta messo in crisi da decenni di sfruttamento e per questo intendono impegnarsi con forza, competenza e speranza.La seconda evidenza ci porta alla ricerca Libera idee che restituisce un panorama nel quale la rappresentazione delle mafie ancora oggi fatica ad essere attuale e attenta alla complessità che la contraddistingue. 
“Dai dati raccolti negli anni sono emersi elementi interessanti: da un lato, l’immaginario dell’eroe negativo, la forza della violenza mafiosa che rischia di imporsi con una certa dose di fascino, in particolare tra i più giovani, anche sulla scia delle tante fiction che hanno boss mafiosi come protagonisti…”
In continuità con quanto scritto nel primo paragrafo, emerge un legame con la violenza e il potere mafioso assolutamente non sottoposto a critica; anzi, pare che tra i più giovani, ma non solo, quel sistema diventi affascinante. In un contesto sociale che ha disinvestito nella cura dell’educazione civile, nelle relazioni, nell’educazione partigiana, che conduce alla realizzazione di obiettivi democratici e umani, chi cresce è sostanzialmente privo di riferimenti positivi con i quali entrare in relazione.
Il senso comune, come la ricerca di Liberaidee ha dimostrato, attribuisce ancora alle mafie stereotipi, narrazioni e caratteristiche che, quando va bene, non sono più attuali. Come però talvolta non lo sono più nemmeno alcune nostre narrazioni e modi di descrivere i fenomeni mafiosi ed il loro essere entro le trame della vita di persone e territori. Emerge la necessità di un lavoro di conoscenza più profondo, a partire da noi per meglio fare con gli altri. Nelle scuole quando chiediamo agli studenti “da quando esistono le mafie?” la loro risposta corale è, nella quasi totalità dei casi, “da sempre”. Anche nei disegni dei bambini e nelle loro rappresentazioni emerge spesso l’ineluttabilità verso le mafie: il cancro che erode il tessuto sano è ormai una narrazione acquisita nel comune sentire. Una risposta che ci consegna:

 – il senso di rassegnazione che si inizia a respirare nelle scuole, frutto di un lento indebolimento dei legami sociali;  

– la metabolizzazione delle mafie nel nostro sentire quotidiano: se esistono da sempre è come se facessero anche parte di noi, come se ci dovessero accompagnare in tutta la vita, nell’idea che nulla possa cambiare e che quindi se le mafie esistono “da” sempre, allora vuol dire che esisteranno in qualche modo “per” sempre.

Queste risposte segnalano anche una scarsa conoscenza del fenomeno storico. Le mafie dovrebbero essere studiate nelle scuole come si studiano altri fenomeni storici. Solo attraverso la conoscenza può nascere consapevolezza, che è antidoto contro gli stereotipi, vera maschera delle organizzazioni criminali. La cultura della memoria che Libera sin dalle sue origini promuove è, tra le altre peculiarità pedagogiche, modo per entrare in tanti campi inesplorati della storia, contribuendo anche alla crescita
della conoscenza. Conoscere è indispensabile per tutti, perché la storia del nostro Paese è anche intrecciata con la storia delle mafie; perché per capire verso cosa tendere è necessario conoscere il passato dal quale proveniamo; perché per essere pienamente cittadini servono le motivazioni e le direzioni civili e democratiche verso le quali organizzare il proprio impegno.

Contesto 4. 
Giovani e futuro, tra società e scuola
C’è un’altra violenza che è importante non dimenticare, non diversa dai comportamenti mafiosi: a pochi interessano le sorti dei giovani; a pochi sta a cuore che i giovani possano crescere bene; altrettanti si attendono che siano i giovani ad avere un ruolo di guida nella nostra futura società. I giovani sono spesso usati nei discorsi dei leader politici o dei manager delle multinazionali. Vengono strumentalizzati e portati a credere che per loro sia tutto possibile e che debbano raggiungere la massima realizzazione di sé, a patto che lo vogliano e che si diano da fare in quella direzione; senza una minima riflessione e dotazione strumentale. Il 21 marzo può essere anche questo: mettendo al centro il coinvolgimento e la partecipazione dei giovani, della rete di Libera e non solo, iniziare a dare una “forma possibile” alla loro affermazione attuale e di prospettiva.
A ciò si aggiunge la grande fatica della scuola e delle politiche pubbliche nel contrastare un fenomeno come quello della dispersione scolastica. Come sottolineato da un articolo pubblicato su “Vita” si evidenzia come ben il 73% degli studenti stia male a scuola e di questi il 60% non si ricordi poco o nulla del contesto vissuto il quel percorso della loro vita. Allontanarsi dei processi formativi e stare male a scuola sono due fattori determinanti nella crescita di una ragazza o di un ragazzo. Questo più
in generale, ma in relazioni alla violenza mafiosa, sono una tra le principali evidenze dell’intromissione delle mafie nella vita dei più giovani. Ma come accade per molti fattori quotidiani, la cultura violenta delle mafie si diffonde e contamina luoghi e persone. Così i giovani sono immersi costantemente in situazioni violente vissute e proiettate. Le conosciamo: violenza sulle donne, su minori, tra minori, su disabili; violenze private, violenze pubbliche e politiche, la violenza dell’assenza di futuro; la violenza sull’ecosistema, violenza in rete. La violenza, agita o paventata, genera paura; la paura genera omertà, l’omertà alimenta le mafie. I giovani sono sempre più
disorientati, polverizzati da una miriade di segnali e messaggi completamente opposti: è complicato per un giovane, riuscire a sviluppare coscienza critica e capacità di discernimento. È fondamentale, nel discorso contro le mafie e la corruzione, far emergere le positività e la convenienza dell’agire legale, del proteggere il bene comune per costruire un contesto positivo in cui possano crescere liberi di perseguire i propri ideali e realizzare le proprie ambizioni.

Contesto 5
Le responsabilità delle istituzioni educative e le diseguaglianze sociali
La scuola e il territorio sono i punti di caduta, i luoghi su cui misurare povertà educative, smarrimento dei soggetti, capacità di determinare e riconoscere autorevolezza. Come scrive il rapporto sul contrasto del fallimento formativo:
La dispersione non è un epifenomeno marginale, per quanto numericamente significativo; non è solo una disfunzione della scuola; per il sistema di istruzione e formazione non è un problema, è il problema. Ma, ancora di più, la dispersione è causa e insieme conseguenza di mancata crescita e, al contempo, di deficit democratico nei meccanismi di mobilità sociale del nostro Paese ed è l’indicatore di una deficienza del nostro sistema in termini di equità.
Ci troviamo spesso di fronte a ragazzi spaccati a metà dalle diseguaglianze sociali e culturali. La scuola, da sempre luogo capace di generare le basi per il cosiddetto ascensore sociale, oggi è sempre mento in grado di promuovere mescolanza tra ragazzi di diverse estrazioni sociali e di provenienza territoriale: alcuni crescono in contesti nei quali tende a sparire il gioco e la socialità spontanea di strada, di quartiere; per altri invece la strada diventa un luogo di socialità senza però regole e mescolanza. Il contesto di povertà – e quindi della possibilità di costruire futuro – espone i giovani ad un rischio piuttosto che ad un’ambizione, ad un desiderio, ad una prospettiva. L’impatto delle diseguaglianze in aumento non è solo un elemento sociale, ma è un fenomeno che ha un effetto educativo estremamente negativo:
– rafforza il senso di debolezza nei soggetti deboli, e quindi li rende più aggressivi e depressivi allo stesso tempo;
– l’assenza di un ascensore sociale potenziale diminuisce l’ambizione a costruire futuro, ma favorisce il ripiegarsi nell’esistente;
– se l’esistente è un “fondo nero” in una tela, il conflitto non esplode più verso l’alto (il potere, l’autorità, le politiche sbagliate) ma verso il basso (il compagno di banco, il migrante, il diverso, la guerra tra poveri, la paura e l’odio del diverso).
La povertà educativa, l’abbandono delle periferie, le disuguaglianze, la paura, l’assenza di meticciato nelle relazioni, sono le conseguenze di precise scelte politiche.
Ci sono anche periferie mentali, periferie nel centro. Nelle scuole incontriamo tanti ragazzi che vivono la mancanza di speranza, di prospettive, che sono “disarmati” di fronte al futuro. Giovani che credono che per andare avanti bisogna non rispettare le regole, essere i più furbi.

Contesto 6
C’è violenza nella politica internazionale e politica locale
Come delegittimare culturalmente il dominio mafioso, fondato sulle violenze, se sul piano delle relazioni internazionali gli Stati – che vogliono garantire la legalità al proprio interno, e dunque una regolamentazione nonviolenta dei conflitti? I dati SIPRI relativi al 2020 documentano la cifra record di 1.981 miliardi di dollari di spesa militare globale – continuano a fondare i loro rapporti reciproci sulla violenza e sulla nuova corsa agli armamenti? La spesa totale è stata più alta del 2,6% rispetto al
2019 e del 9,3% rispetto al 2011 (https://www.sipri.org/sites/default/files/2021-10/yb21_summary_ita.pdf).
Ma nelle dinamiche locali non vi sono molte differenze e accanto a ciò che è evidente del fare politica in modo violento, si registra un crescente costituirsi di formazioni neofasciste e neonaziste che, come ben visibile agli occhi di tutti, con le mafie condividono modelli e pratiche violente, contiguità dei dispositivi pedagogici. Avanzano potentemente razzismi, culture discriminatorie, la lotta dei forti contro i deboli, il dominio sul senso. Sentiamo il bisogno di avviare un grande processo di
consapevolezza e di presa di posizione, nelle parole, negli atti, nelle scelte.
Dunque: da chi o da che cosa è minacciata davvero la democrazia? A supporto di quale difesa è necessario investire maggiori risorse? Le spese militari ci difendono dalle minacce reali, come le mafie, o sottraggono e distolgono da questo compito primario preziose risorse? Per esempio – a proposito di giovani – il fatto che il nostro Paese è ultimo in Europa per spese per l’istruzione e per numero di laureati, ma tra i primi quattro per spese militari e primo per numero di cacciabombardieri, difende il presente e il futuro dei giovani? O si tratta di una forma di violenza strutturale, culturale generalizzata, che legittima determinate spese – che vanno ad esclusivo vantaggio dell’industria degli armamenti – a discapito di altri investimenti civili, che andrebbero a vantaggio di tutti?

Contesto 7
La cura dell’ambiente e dell’ecosistema
Tutto ciò che abbiamo attorno è fonte di ricchezza, nutrimento, energia, sopravvivenza. È la terra con le sue tante sfaccettature a darci diverse possibilità di crescita e sviluppo. Tuttavia, abbiamo inteso il nostro sviluppo nell’epoca moderna come semplicemente una crescita economica ed industriale, attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali. Questo ha provocato un lento deterioramento delle condizioni di vita del nostro pianeta. Solo una nuova coscienza ecologica può davvero invertire la
rotta di un Pianeta che sta mettendo a rischio la propria vita a causa della sua prima energia vitale: gli esseri viventi. L’ecosistema nel quale viviamo non è da intendersi solo come natura in quanto tale, ma più complessivamente come il sistema di relazioni tra uomo e natura, tra essere viventi ed ambiente circostante. L’ecosistema è la ragione e la causa della nostra esistenza. Se non siamo in grado di difenderlo, di prendercene cura, di averne rispetto metteremo a rischio non solo la sopravvivenza di specie animali, ma dello stesso genere umano nel prossimo futuro.
Siamo chiamati ad agire una vera e propria rivoluzione, prima di tutto di tipo culturale che poi, entra nelle nostre scelte quotidiane; i nostri comportamenti e il nostro modo di essere nel mondo devono cambiare orientamento. In questo senso non può venir meno un’attenzione alla denuncia e alla lottaper opporsi ai comportamenti lesivi oggi assai diffusi e spesso agiti dalle organizzazioni mafiose che vedono nello sfruttamento e nell’aggressione dell’ecosistema un’occasione di guadagno e di controllo
del territorio.

Contesto 8
Napoli 21 marzo 2022 – Per amore del disarmo
Napoli e la sua area metropolitana sono il territorio più densamente popolato del Paese. Oltre tre milioni di donne e uomini abitano attorno al Vesuvio e le camorre, così pulviscolari e diffuse nel tessuto urbano, accompagnano da più due secoli la storia di quest’area geografica. Portare a Napoli il 21 marzo vuol dire accendere i riflettori su un territorio in cui le organizzazioni criminali fanno oggi un uso della violenza per uccidersi, uccidere vittime innocenti, impaurire le donne e gli uomini, confliggere tra loro per fare affari e riorganizzare assetti di potere.
Napoli è una delle città che più risuona alla mente leggendo l’elenco delle vittime, se guardiamo ai nomi degli ultimi anni: giovani ragazzi che hanno perso la vita per la mano della violenza camorristica; giovani dei quartieri popolari le cui speranze sono state stroncate da una guerra fatta per il controllo della droga e del racket. Il nostro cammino di memoria ed impegno si rinnova tornando tra le strade di Napoli perché c’è bisogno di tutte le energie, le intelligenze, le forze e le reti per liberare la città da un potere criminale sempre più forte e violento dopo la pandemia.
Le camorre in questi anni, così diverse tra di loro da quartiere e quartiere, ma organizzate in alleanze diverse e terribili sono sempre più governate da giovanissimi che, sostituendosi ai boss in carcere, gestiscono affari milionari attraverso l’uso sconsiderato delle armi; armi utilizzate per dimostrazioni di potere; armi utilizzate per uccidere e conquistare porzioni di territorio in cui organizzare economie criminali; migliaia di armi illegali vendute e rivendute nel territorio. Più giovani acquisiscono ruoli
di rilievo nelle gerarchie criminali e più cambiano forme, riti e linguaggi e al contempo maggiore è la violenza agita e agitata nelle città. I quartieri popolari di Napoli, i comuni della cintura vesuviana sono da mesi vittime di un attacco e di un conflitto tra clan sempre più ingestibile e non gestito. Nel contempo numerosi comuni sono sciolti per infiltrazioni camorristiche e in altri sono insediate commissioni di accesso per casi di corruzione e infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, mentre
la prima azienda sanitaria napoletana è sotto indagine per corruzione e infiltrazione di clan. La pandemia ha indebolito le infrastrutture sociali, aumentato la disoccupazione, intensificato i lavori precari e sottopagati, non risolto l’atavico problema della dispersione scolastica, la più alta d’Italia nei quartieri più poveri di Napoli.
Napoli però è una città creativa e geniale, resistente e in continuo cambiamento. Lo dicono i quartieri popolari, le loro reti di educativa di comunità per le strade; lo dicono le esperienze di rigenerazione urbana, dai beni comuni ai beni confiscati; lo dicono le migliaia di donne e di uomini impegnati ogni giorno per la giustizia sociale ed ambientale.
Molte delle esperienze di trasformazione di Napoli sono nate grazie alla memoria delle vittime innocenti, da un dolore ed una ferita che però è stata un vero e proprio motore di rigenerazione territoriale dei contesti, soprattutto quelli più poveri. Napoli è la città composta in maggioranza da cittadini onesti e laboriosi, delle persone che vivono nei quartieri popolari e che portano la ferita della presenza criminale e dello stereotipo imposto dalla cronaca. Napoli è la città di queste donne e di
questi uomini che si vogliono liberare di questo peso, di questo sopruso, per liberare davvero, come già successo nella storia della città, la città e il Paese

 Oltre al lavoro in classe a partire dalle tracce sotto riportate, Libera propone alle scuole 
1) Di organizzare presso gli istituti una lettura dei nomi delle vittime delle mafie, il 21 marzo mattina alle ore 11, e di collegarsi alle ore 12 con la piazza di Napoli, per partecipare a distanza all’iniziativa nazionale che sarà trasmessa in diretta tv dalla RAI.
2) Di produrre uno striscione/manifesto da appendere dalla finestra della scuola (o da portare in piazza nel caso di partecipazione alla manifestazione) ricordando una vittima innocente delle mafie dell’elenco pubblicato da Libera (vivi.libera.it).
3) Di condividere sul sito della scuola e, laddove presenti, sui profili social, tutte le iniziative realizzate in occasione della Giornata.

La memoria come contenuto trasversale.  “Il lavoro di presa in carico delle storie delle vittime innocenti delle mafie  – spiega Libera – rappresenta un esercizio di memoria responsabile e generativa; un impegno che innanzitutto restituisce dignità alle loro esistenze, drammaticamente interrotte dalla peggiore delle violenze e offre un’occasione per riflettere sulla presenza delle mafie e della loro costante evoluzione nei nostri territori. Tenere vive queste storie, intrecciandole in un racconto plurale che costituisce un patrimonio collettivo, significa portare alla luce la storia di un Paese, segnata da contesti di ingiustizia e malaffare, ma caratterizzata soprattutto da tanti percorsi di resistenza civile e di riaffermazione dei diritti delle persone e delle comunità. In vista del 21 marzo, come sempre necessario, proponiamo di avviare percorsi di approfondimento e impegno collegati a storie di vittime innocenti delle mafie, cosicché le loro vite diventino occasione per ritrovare le radici e l’orizzonte del nostro impegno quotidiano per la costruzione di giustizia, l’affermazione del valore della cultura, la tutela e la cura degli ambienti nei quali viviamo, urbani e naturali”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA