Formazione docenti: 5 regole per una formazione in servizio utile
La legge 107/2015, comma 124, stabilisce che “la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale” e che “le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche” in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle scuole.
Tale obbligo – peraltro assai stemperato dall’accordo sottoscritto da sindacati e Miur il 19 novembre 2019, che lo interpreta in sostanza come un diritto individuale esercitabile anche in forma di autoformazione – ha dato luogo a una estesa domanda di interventi formativi da parte delle singole scuole o di reti di scuole rivolta in particolare alle università.
Sulle caratteristiche di questa domanda e su come cercare di rispondervi senza deludere le aspettative dei docenti si è soffermato Cristiano Corsini, docente di Pedagogia sperimentale all’università Roma 3, sempre in occasione del convegno svoltosi a Tor Vergata il 24 febbraio. A suo avviso il compito del formatore, quando si reca nelle scuole, è quello di aiutare gli insegnanti ad affrontare (non a risolvere) il problema di come aggiornare e implementare il proprio bagaglio professionale. Per fare questo egli deve attenersi a cinque regole: 1) esplicitare la finalità dell’intervento, che deve sempre affrontare un problema reale della specifica scuola; 2) definire con chiarezza i ruoli: c’è asimmetria tra docenti e formatore, che deve sempre avere qualcosa da dare (repertorio di soluzioni, costrutti di competenze); 3) inserire l’intervento nella cultura della scuola, analizzandone vincoli e risorse; 4) co-costruire, insieme ai docenti, la documentazione dei risultati e dei processi; 5) verificare l’effettiva ricaduta delle innovazioni sia sul versante dei risultati ottenuti dagli studenti sia su quello della formazione degli insegnanti.
Solo così, e fornendo concreti modelli di riorganizzazione della didattica, come ha spiegato anche Elisabetta Nigris, docente di Progettazione didattica e Valutazione all’università di Milano Bicocca, si può cercare di superare la diffidenza e il conservatorismo dei docenti, la loro resistenza, o renitenza, agli interventi formativi.
Va ricordato che secondo la legge è il Collegio dei docenti che deve stabilire le attività formative obbligatorie: non spetta dunque al dirigente scolastico di decidere che cosa sia obbligatorio e cosa no, mentre rientra nelle sue competenze quella di sanzionare un docente si rifiuti di partecipare alla formazione obbligatoria deliberata dal Collegio, perché in tal caso l’insegnante verrebbe meno a un obbligo di servizio.
Ma perché tutto ciò funzioni diventa sempre più ineludibile e urgente – a quasi cinque anni dall’emanazione della legge 107/2015 che dopo decenni ha finalmente previsto la formazione in servizio sia obbligatoria, permanente e strutturale – che venga regolamentata l’implementazione di tale obbligo di formazione, tenendo conto della priorità che dovrà essere accordata all’aggiornamento delle competenze dei docenti in materia di uso didattico delle nuove tecnologie e di formazione flipped o a distanza.
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