Fedeli come De Mauro

Una delle prime dichiarazioni di Tullio De Mauro, appena insediato al Ministero dell’Istruzione come successore di Luigi Berlinguer, riguardò le retribuzioni degli insegnanti italiani. Era il maggio 2000 e il neo ministro, in occasione dell’incontro con le organizzazioni sindacali della scuola, se ne uscì con una considerazione tanto clamorosa quanto inattesa: “Il livello delle retribuzioni degli insegnanti italiani è assolutamente scandaloso nel confronto con gli altri Paesi del mondo occidentale”. E aggiunse, subito dopo, da tecnico prestato alla politica: “Non so qual è l’impegno economico che possiamo assumere, ma mi impegno a continuare nello sforzo per dare agli insegnanti una carriera e quindi una progressione di ruoli e di dignità professionali: tenterò di fare tutto ciò che è in mio potere per aumentare la retribuzione base di tutti gli insegnanti”.

Conoscendo il professore, non si poteva dubitare della sua buona fede, ma all’interno della maggioranza che lo aveva portato al Governo si parlò di imprudenza e di ingenuità politica.

Non gli venne rimproverato, insomma, di avere detto la verità, ma di avere venduto un po’ la pelle dell’orso senza avere preventivamente studiato e concordato un piano.

Forse in quel momento si era dimenticato che non era il prof. De Mauro ma il ministro De Mauro. 

Come non ripensare, diciassette anni dopo, alle parole di De Mauro nell’ascoltare le considerazioni espresse dall’attuale ministro Valeria Fedeli sulla retribuzione degli insegnanti italiani.

Gli insegnanti, per l’impegno ed il compito che assolvono, per la professionalità dovrebbero essere pagati il doppio di quanto prendono oggi”, ha affermato nel corso del programma ‘L’Aria  che tira’, in onda su La7. “Sono persone che hanno in mano il futuro, il destino della nostra società. Certo attualmente le risorse non ci sarebbero, ma bisogna darsi delle prospettive”.

Come per De Mauro, anche per la Fedeli non è in discussione la buona fede. A differenza di De Mauro, la Fedeli ha grande esperienza politica. E’ da escludere che possa essere tacciata di ingenuità. Ma anche per lei le parole rischiano di essere scritte sulla sabbia se non saranno presto accompagnate da un piano credibile a lungo termine. Aver posto in modo chiaro il problema, spiazzando in qualche modo il sindacato, sembra un segnale che il governo voglia farsi carico della questione. Vedremo.

Altrimenti tra 15 o 20 anni un altro ministro dell’istruzione ‘scoprirà’ che gli insegnanti italiani sono il fanalino di coda dell’Europa, pur essendo indispensabile per lo sviluppo sociale del Paese.