Dottorato di ricerca: dal 3+2 (+3) al 3+(2+3)

Potrebbe essere riassunta in questa formula (che i matematici magari contesteranno) la direzione di marcia che l’istruzione superiore sta prendendo in Europa: in questo processo evolutivo, acceleratosi negli ultimi anni, il modello 3+2, affermatosi rapidamente a partire dal 1998 (dichiarazione della Sorbona, processo di Bologna), se ha favorito la maggiore trasparenza, comparabilità e disponibilità alla collaborazione tra gli atenei europei, ha anche messo in luce i limiti di un modello come il 3+2 che in alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, non ha saputo dare un valore forte e spendibile sul mercato del lavoro alla laurea triennale e neanche fare della laurea magistrale una consistente base di lancio verso il dottorato di ricerca.

Su questa problematica Nicola Vittorio, ordinario di astronomia e astrofisica presso l’università di Roma Tor Vergata, ha presentato una relazione di notevole interesse al convegno che la Sicese ha promosso lo scorso 30 aprile 2014 abbinandolo alla sua assemblea nazionale per il rinnovo delle cariche (sulla quale riferiamo in altra news).

La tesi di Vittorio, ampiamente argomentata anche nel volume “30 anni di dottorato di ricerca. L’ora  del 2+3”, scritto in collaborazione con il giornalista Giampaolo Cerri (edizioni Exorma, Roma 2013, prefazione di Luigi Berlinguer), è che per uscire dalla crisi l’Europa e con essa l’Italia debbano puntare le loro carte sull’innovazione, sulla ricerca scientifica avanzata, e quindi su quel segmento dell’istruzione superiore che comprende i due anni della laurea magistrale e i tre del dottorato di ricerca: un ‘due+3’ che sempre più ormai deve essere pensato in dimensione europea e come la “nuova frontiera” dell’innovazione per tutto il continente.