Divieto di smartphone a scuola? Un manifesto a sostegno del digitale: 10 punti per andare oltre la tecnofobia

Vietare gli strumenti digitali o favorirne un uso consapevole e controllato, in classe e in famiglia? Tre autorevoli studiosi, specializzati in campi disciplinari diversi ma in costante dialogo e in forte interazione nel comune oggetto di studio – lo psicologo e neuroscienziato Vittorio Gallese, il filosofo e storico dell’evoluzione tecnologica Stefano Moriggi e il pedagogista e professore di didattica e tecnologie dell’educazione Pier Cesare Rivoltella – sono i coautori di un volume che prende posizione in modo netto e inequivocabile a favore della “cittadinanza digitale matura”, intesa come strumento positivo di emancipazione del genere umano, e contro ogni forma di tecnofobia: da quella degli “apocalittici”, che vorrebbero bloccare le tecnologie e tornare a immaginari “bei tempi andati” a quella degli “integrati”, i tecno-monopolisti (compresi quelli cinesi) proprietari di quelle “big tech” il cui obiettivo è quello di condizionare la libertà degli individui attraverso l’uso mirato delle grandi piattaforme (V.G., S.M., P.C.R., Oltre la tecnofobia. Il digitale dalle neuroscienze all’educazione, Raffaello Cortina Editore, 2025)

Sbagliano dunque quegli studiosi, come Jonathan Haidt (ripetutamente citato in negativo nel volume), che vedono nell’accesso precoce dei giovani agli smartphone e ai social media la causa principale del fatto che l’ultima generazione di adolescenti sia diventata “più ansiosa, depressa, autolesionista e incline al suicidio” (Haidt, 2024), auspicandone il divieto fino addirittura a 16 anni, e non solo a scuola. Al contrario, sostengono i tre autori, vista la pervasività e l’inarrestabilità delle tecnologie digitali, occorre andare nella direzione esattamente opposta, non vietando e controllando i comportamenti digitali dei giovani (“mettere il cellulare sottochiave non serve assolutamente a nulla”, p. 143) ma aiutandoli passo dopo passo, anche dalla più tenera età, a padroneggiare i nuovi strumenti (come suggerito anche da Matteo Lancini, che peraltro denuncia anche l’incapacità degli adulti di farlo).

Solo questa scelta “fa crescere gradualmente la capacità del bambino di interfacciarsi criticamente con lo strumento e favorisce la sua capacità di autoregolazione”. Si corrono così dei rischi? Sì, “ma il rischio è indissociabile dall’educazione”, si legge nella parte terza del libro (“Educare nel digitale”), che non consiste nel vietare, ma anzi nel consentire ai giovani di agire, di fare, di sperimentarsi: il “«lasciare andare» è un momento essenziale della relazione educativa”, perché educare significa consentire a chi apprende di imparare in autonomia e responsabilmente. Per questo “ogni scelta di protezione o di divieto, in senso proprio, non è educativa” (p. 147).

Il volume si conclude infine con quello che viene presentato come il “Manifesto dell’oltretecnofobo”, un decalogo di “brevi tesi”, ciascuna di poche righe, che riassumono il punto di vista degli autori. Eccone i titoli:

  1. La tecnologia è umana
  2. Non siamo spettatori, ma agenti
  3. Pensare con la tecnologia, non contro di essa
  4. Critica si, rifiuto no
  5. Tecnologia non è solo consumo
  6. Il digitale è un ambiente, non una minaccia
  7. Non esiste un’unica alfabetizzazione
  8. Il vero pericolo è il determinismo
  9. Tecnologia e tecnolatria sono due facce della stessa medaglia
  10. Il futuro è da scrivere, non da temere

Sorpresa finale, con cui si conclude il volume: “Ci teniamo a confessare che il manifesto è stato redatto grazie all’interazione degli autori con GPT-4.0

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA