Dispersione scolastica in calo/2. Ma come si calcolano i dispersi?

Il ministro Moratti, nel fornire la notizia del calo dei “dispersi”, cioè della diminuzione del numero di giovani che lasciano il sistema scolastico prima del diploma o della qualifica, ha citato cifre interessanti, senza però fornire una precisa fonte di riferimento o di calcolo, costringendo tutti a prendere atto della sua affermazione. Così è se vi pare.
Ha affermato che gli abbandoni sono in calo del 5,3% e ha precisato che, mentre la percentuale di dispersione nel 2000 era del 25,3%, oggi si è attestata intorno al 20% e, addirittura, sfiora i livelli europei (18,8%). Lo stesso ministro, nell’audizione al Senato del 22 luglio 2003, parlava però di un 19% di dispersione. La dispersione allora cala o cresce?
Forse, una volta per tutte, bisognerebbe mettere alcuni punti fermi su questo delicato problema della dispersione, per evitare l’impressione che si stiano dando i numeri o si stiano “piegando” alcuni dati agli obiettivi che si vogliono dimostrare.
Premesso che, in assenza di un sistema di anagrafe scolastica nazionale (il cui impianto è ancora in fase di avvio), la dispersione non può essere attendibilmente misurata ma solamente stimata, è necessario conoscere l’intero percorso scolastico e formativo (ci riferiamo ai ragazzi del secondo ciclo) per sapere quanti ragazzi restano e quanti abbandonano.
Occorre conoscere quanti sono abbandoni veri, quanti sono ritardi per ripetenze oppure quanti sono semplici passaggi dal sistema di istruzione a quello di formazione, dalle scuole del sistema statale a quelle del sistema non statale. Occorre fissare un arco di tempo da misurare, come, ad esempio, dal primo anno all’ultimo anno delle superiori, ecc..
Occorre, insomma, un criterio oggettivo, visibile, verificabile.
In caso diverso, i dati comunicati, ancorché sostanzialmente positivi, perdono di attendibilità e di credibilità. Ad usum delphini, appunto.