Dialoghi bipartisan e dialoghi tra sordi

C’è dialogo e dialogo. Sulla riforma Moratti si sta sviluppando un confronto a più voci e in varie sedi (riviste, quotidiani, internet) i cui protagonisti appaiono animati da motivazioni diverse, se non opposte. C’è chi cerca il dialogo per individuare e condividere un possibile terreno di intesa, se non di collaborazione, e chi lo cerca per evidenziare le differenze, se non le contrapposizioni.

Alla prima categoria appartiene il dialogo tra i sostenitori del “partito del buon senso” (in educazione, ma forse l’orizzonte è più largo), che si collocano su posizioni politiche diverse ma fanno uno sforzo per trovare almeno qualche punto di convergenza. Il “Corriere della Sera” aveva qualche mese fa pubblicato alcuni articoli a doppia firma (per esempio: Bertagna-Maragliano, Nembrini-Mancina, Campione-Ribolzi), sponsorizzando in qualche modo l’iniziativa. Nei giorni scorsi è stato il quotidiano “Il riformista” ad ospitare due articoli in parallelo, uno di Vittorio Campione, già capo della segreteria del ministro Berlinguer (tesi: “a dire solo no, e a dirlo con motivazioni sbagliate, si resta isolati e si perde credibilità), e un secondo di Giuseppe Bertagna, progettista principe della riforma Moratti (tesi: “non resta che fare appello alle forze autenticamente riformiste del Paese che, com’è noto, sono trasversali agli schieramenti politici”). Punto di convergenza: come garantire la pari dignità di tutti i percorsi scolastici e formativi.

Alla seconda categoria sembra invece appartenere il confronto animato da Maurizio Tiriticco, che si svolge soprattutto attraverso lo scambio in internet di note e articoli. Il punto è sempre lo stesso, quello della “pari dignità”, ma in questo caso è un punto di divergenza, perché secondo Tiriticco (che aderisce al movimento Nonunodimeno, promosso dall’ex ministro De Mauro) la riforma Moratti è irrimediabilmente iniqua e gerarchizzante, mentre secondo Bertagna essa pone le premesse per realizzare il riscatto dei percorsi professionali dalla loro storica condizione di subalternità sociale e culturale. Il rischio qui è di scivolare nel dialogo tra sordi.