Dentro i dati internazionali/3: conta la frequenza della scuola dell’infanzia

C’è un’altra osservazione interessante che si ricava dall’indagine Pirls 2006 sulla lettura dei ragazzi di 9-10 anni, in cui hanno ben figurato gli italiani. Riguarda il riferimento sulla scolarizzazione pregressa messa in rapporto con le prestazioni in “lettura“.
Nella tabella n. 15 vengono messe a confronto le prestazioni ottenute con gli anni di frequenza della scuola dell’infanzia. Nella media internazionale le migliori prestazioni vanno di pari passo con la maggiore durata di frequenza della scuola d’infanzia. Le peggiori prestazioni riguardano ragazzi che, a suo tempo, non hanno frequentato scuole dell’infanzia.
Ma non è sempre così, perché vi sono Paesi in cui sembra che la frequenza della scuola dell’infanzia costituisca una variabile indifferente rispetto al rendimento scolastico successivo. Si può forse ritenere che, in quei casi, prevalga l’aspetto assistenziale rispetto a quello educativo-prescolastico. E in Italia?
Da noi le migliori prestazioni in “lettura” sono state ottenute da ragazzi che avevano frequentato la scuola dell’infanzia per almeno tre anni. Il dato italiano complessivo è eloquente. Il tasso di rendimento rilevato è proporzionale alla durata di frequenza della scuola dell’infanzia: più lunga è stata la frequenza e più alto è il rendimento rilevato.
I fautori della generalizzazione della scuola dell’infanzia nel nostro Paese hanno ora una ragione in più per sostenere il loro obiettivo (trasversalmente condiviso, visto che ha fatto parte della legge dei cicli di Berlinguer e della riforma Moratti).