Coronavirus: ma la didattica a distanza non basta più

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La società italiana, e con essa la scuola, sta vivendo un dramma collettivo, che proprio in questi giorni sta raggiungendo punte di intensità inaudite, superiori alle più pessimistiche previsioni, e non è detto purtroppo che la settimana che inizia oggi registri l’inversione della tendenza.

La progressione è stata impressionante. Se la prima reazione della scuola alla sospensione delle lezioni, come si è notato alcune settimane fa, era stata di grande fiducia nella propria capacità di mantenere in vita, e perfino arricchire, la relazione didattica con gli studenti, e se ancora la scorsa settimana potevamo porre l’accento sulla “grande prova di resilienza” data dalle scuole italiane, va detto che il clima ora è cambiato. La prospettiva di una loro prolungata chiusura (perché di fatto di questo si tratta), addirittura fino al termine dell’anno scolastico, pone il problema di come rendere significativa, in termini educativi, l’attività didattica che sarà possibile svolgere fino ad allora, e quale valutazione dare, in queste condizioni, dei risultati raggiunti dagli studenti.

Non sarà facile, per non dire che sarà impossibile, dare regole uniformi per tutto il sistema perché il panorama delle scuole presenta profonde asimmetrie: tra scuole che erano già pronte a realizzare la didattica a distanza o DAD (poche), scuole che hanno raccolto la sfida e si sono organizzate (non poche, ma con una casistica assai differenziata) e scuole che si sono limitate al minimo, l’assegnazione di compiti e qualche lezione registrata inserita nel sito della scuola. Sono queste le scuole che hanno più bisogno di sostegno, dalla fornitura di dotazioni tecnologiche agli insegnanti e alle famiglie che non ne dispongono al knowhow per utilizzarle. A queste scuole e famiglie dovrebbero essere prioritariamente destinati gli 85 milioni stanziati per la didattica a distanza. Fondamentale è una formazione mirata, di taglio pratico e operativo, per mettere in condizione di attivare la DAD anche i docenti che ancora non lo hanno fatto, e di offrire strumenti ad altri di perfezionarla. A questo è mirata la nuova iniziativa di #LaScuolaAiutaLaScuola, promossa da Tuttoscuola, di cui si parla qui.

Stiamo vivendo un momento epocale: sono i giorni della scuola diffusa. Le sedi scolastiche non sono più le 45 mila di tutti giorni. Quelle sono chiuse. Sono i 5-6 milioni di case in cui vivono i 9 milioni di studenti.

Ma altre asimmetrie nascono dalla differenziata struttura dei contesti familiari: sfavorite sono le famiglie con più figli iscritti a scuole di diverso grado, sempre che i genitori non debbano utilizzare i devices di casa per le loro esigenze di smartworking.

Dalle scuole del Nord più colpite dall’epidemia giungono poi segnali di acuta sofferenza, perché alla difficoltà di realizzare la didattica online in istituzioni scolastiche fatte di 8-10 e più plessi si aggiunge l’angoscia dei lutti che colpiscono le famiglie. La nuova emergenza sta diventando quella di offrire un supporto anche psicologico a chi opera in queste condizioni di profondo turbamento personale e professionale. Serve solidarietà e condivisione da parte di tutti. Anche così “la scuola aiuta la scuola”.