Contratti: ritorna il potere di disapplicare le leggi
La bozza di decreto legislativo di riforma del Testo Unico del Pubblico Impiego che oggi arriverà in Consiglio dei Ministri per l’approvazione, recepisce, in materia di contrattazione, l’accordo tra Governo e Sindacati confederali del 30 novembre scorso che prevede, tra l’altro, “Il Governo si impegna alla definizione di un intervento legislativo volto a promuovere il riequilibrio, a favore della contrattazione, del rapporto tra le fonti che disciplinano il rapporto di lavoro per i dipendenti di tutti i settori, aree e comparti di contrattazione, per una ripartizione efficace ed equa delle materie di competenza e degli ambiti di azione della legge e del contratto”.
Riequilibrio significa che nel rapporto di lavoro talune norme legislative, definite a suo tempo dal Parlamento, dovranno essere restituite al potere di contrattazione.
Ed ecco come l’accordo è stato definito nella bozza di decreto, tenendo presente quanto attualmente previsto. Il vigente decreto legislativo 165/2001 (Testo Unico) prevede(va) all’art. 2, comma 2 che “Eventuali disposizioni di legge che introducono discipline dei rapporti di lavoro … possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge”.
La bozza del nuovo decreto ora prevede “Eventuali disposizioni di legge che introducono discipline dei rapporti di lavoro … possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili.”
Quel rinvio al nuovo art. 40, comma 1 è importante, perché precisa che la contrattazione nazionale per le sanzioni disciplinari, la valutazione delle prestazioni per il trattamento accessorio e la mobilità è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge.
Ritorna, insomma, quel potere di disapplicare le leggi tramite contratto nazionale su materie che riguardano il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici (compresi quelli del comparto scuola); potere che a suo tempo il Governo Berlusconi con il ministro Brunetta aveva fortemente ridimensionato (solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge) e che il premier Renzi nella Buona Scuola, al comma 196, aveva del tutto escluso (“Sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge”).
La bozza di decreto non include, tra le norme abrogate, quel comma 196 della legge 107/2015: dimenticanza? O esclusione del potere di deroga sulla Buona Scuola?
Il nodo non è solo giuridico.
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