Compiti a casa. A chi spetta decidere se e quanti?

Nella circolare riguardante i compiti a casa, materia da sempre controversa e oggetto di ricorrenti polemiche, indirizzata ai dirigenti scolastici, il ministro Valditara si rivolge di fatto agli insegnanti. Entrando nel merito del loro lavoro, fa notare che “si può garantire una più equilibrata distribuzione delle verifiche durante la settimana, evitando che i carichi di lavoro per gli studenti siano troppo condensati e gravosi”.

Lo poteva fare? Oppure è andato oltre le sue competenze, invadendo un ambito di esclusiva pertinenza dei docenti, come gli hanno subito contestato i sindacati (Giuseppe D’Aprile, segretario della Uil Scuola, ha definito l’intervento ministeriale “un atto ingerente” e “un attacco all’autonomia professionale degli insegnanti”, e anche la Flc Cgil in una nota parla di “una vera e propria ingerenza nelle prerogative delle istituzioni scolastiche, nell’autonomia professionale e nella libertà di insegnamento dei singoli docenti”). 

Opposta la valutazione di Valentina Aprea, responsabile nazionale del Dipartimento Istruzione di Forza Italia, che ha accolto “con grande favore” la circolare del ministro Valditara, giudicandola “un passo importante verso una scuola più attenta al benessere degli studenti e all’efficacia del lavoro didattico”.

Ma il ministro, torniamo alla domanda, ha agito nell’ambito delle sue competenze, o è andato oltre? La risposta non è semplice, e proveremo a spiegarlo. Stando a quanto si legge nella circolare, non si può parlare di prescrizioni formali, di obblighi per i docenti, perché ad essi viene rivolta la raccomandazione (“si ritiene opportuno raccomandare”) a:

– coordinarsi tra colleghi del team o del consiglio di classe nella programmazione delle prove;
– evitare l’inserimento tardivo di compiti sul registro elettronico, soprattutto la sera prima per il giorno successivo;

– favorire una distribuzione equilibrata delle verifiche e degli esercizi nel corso della settimana;
– utilizzare, oltre al registro elettronico, anche il diario personale degli studenti, per favorire una maggiore autonomia nella gestione degli impegni.

Diciamolo: se ci sono docenti che non si attengono spontaneamente a queste regole di buon senso, meritano di essere richiamati (anche perché quando viene assegnata una valanga di compiti, in molti casi finiscono con il farsene carico i genitori, oggi magari con l’aiuto di ChatGPT, per chi lo sa usare…). Ma allora la questione di fondo è un’altra (purtroppo), e ben nota: come li abbiamo selezionati? E come continuiamo a selezionarli? Come li abbiamo formati, prima e dopo l’entrata in servizio?

E poi: se meritano di essere richiamati, non rientra questo nei compiti di un bravo dirigente scolastico che conosce bene la propria realtà? Se sì, deve essere il vertice politico del sistema di istruzione a ricordarglielo? Allora qualche domanda verrebbe anche su come sono stati scelti i presidi…

Se il ministro ha motivo di pensare che tanti insegnanti non si attengono a certe regole, e che per alcuni dirigenti sia utile essere spalleggiati dal Ministro altrimenti alcuni docenti – magari protetti dai sindacati – fanno come vogliono, allora ha fatto bene a emanare la circolare. Ma la situazione non sarebbe allegra.

Del resto non ci sono norme che impediscono al ministro dell’istruzione di prendere carta e penna e indirizzare inviti o raccomandazioni a quasi un milione di docenti. Ma non è solo una questione di potestà, ma anche di opportunità. Sarebbe opportuno se ogni ministro (negli ultimi 7 anni a viale Trastevere se ne sono alternati 5) specificasse i propri orientamenti su questi aspetti?

Forse l’intento è di tutelare gli studenti. Chi può dirsi contrario, ma sarebbe preoccupante se agli insegnanti italiani lo si dovesse ricordare. Oppure si vogliono compiacere i genitori, i nonni? (parliamo di circa venti milioni di persone). Sarebbe un altro paio di maniche, un’azione di raccolta indiretta di consenso nell’opinione pubblica, dove però gli insegnanti finirebbero per non fare una gran figura. Al di là delle finalità, che non conosciamo, non c’è il rischio così di sminuire la figura del docente (proprio quella di cui si vorrebbe rafforzare il prestigio)? E di sostituirsi al dirigente scolastico, anche qui ridimensionandone il profilo?

Ad ogni modo, se i docenti, o una parte di essi, o anche un singolo insegnante, decidessero di non accogliere queste indicazioni, presentate come detto in forma di “raccomandazioni”, a nostro avviso potrebbero farlo, e non rischierebbero alcuna conseguenza perché agirebbero nell’ambito della loro libertà di insegnamento, sancita dall’art. 33 della Costituzione. La cosa più importante però è che facciano sempre, di caso in caso, quello che è meglio per i loro studenti. Un bravo insegnante sa come.

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