Competenze non cognitive/2. Una ‘contraddizione in termini’?

In totale contrasto con la quasi unanimità verificatasi in Parlamento sulla legge che introduce le competenze non cognitive nella scuola italiana, sia pure in via sperimentale, si muove un movimento come “La nostra scuola”, un gruppo cui aderiscono noti docenti universitari e intellettuali (tra i quali Alessandro Barbero, Luciano Canfora, Ivano Dionigi, Vito Mancuso, Dacia Maraini, Tomaso Montanari, Adriano Prosperi, Massimo Recalcati, Lucio Russo, Salvatore Settis, Gustavo Zagrebelsky), promotori del  “Manifesto per la nuova Scuola”, un documento lanciato alcuni mesi or sono anche sulla piattaforma change.org che ha raccolto finora oltre 17.000 firme e che spara a zero contro la legge.

Le competenze non cognitive”, scrive un esponente del movimento, Luca Malgioglio, “sono una contraddizione in termini (come se la scuola dovesse insegnare a NON pensare e a NON sapere) e non hanno alcun senso didattico, pedagogico e psicologico: possono essere però un ottimo grimaldello per scardinare l’istruzione pubblica, incentrata sul valore formativo della conoscenza”.

A suo avviso l’elenco delle competenze non cognitive “stilato da Maurizio Lupi è grottesco sia nel suo para-aziendalismo (‘capacità di collaborare’, senza precisare a cosa, ‘affidabilità’ e ‘adattabilità’), sia nel paradosso orwelliano di considerare ‘non cognitive’ l’apertura mentale, la capacità di prendere iniziative, di pensare per problemi: come si fa a ‘pensare per problemi’ se non si pensa (‘non cognitivo’) e se non si conoscono i termini del problema?”. 

Riemerge qui la radicale diffidenza dei citati intellettuali, e degli insegnanti che ne condividono le tesi, nei confronti del concetto di “competenza” riferito all’apprendimento scolastico. A loro giudizio, come si legge nel citato “Manifesto” “la scuola deve essere incentrata sui contenuti disciplinari, sul loro apprendimento, sulla loro attualizzazione, sulla loro rielaborazione, sul ‘gioco’ delle idee e delle conoscenze”, mentre “la retorica delle competenze, nata in ambito aziendale e lavorativo, non può applicarsi ai processi lunghi e non lineari dell’apprendimento e della crescita”.

Sembra peraltro difficile che queste posizioni, che sembrano riecheggiare l’antica diffidenza gentiliana verso le scienze sociali e la pedagogia (“chi sa veramente, sa anche insegnare”), possano influenzare il destino di questa legge al Senato. (O.N.)

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