
Buona Scuola, bilancio provvisorio a pelle di leopardo/2. Le criticità
Sulla valorizzazione del merito (dei docenti e dei dirigenti) e sulla carriera degli insegnanti si sono invece manifestate incertezze e rettifiche di tiro fin dal momento della prima versione del progetto della Buona Scuola (settembre 2014).
Rispetto al modello iniziale, che prevedeva lo strampalato meccanismo dei due terzi da premiare e un terzo da penalizzare, si è alla fine deciso di rinunciare per il momento a definire per legge una vera e propria carriera per i docenti (come lo sarebbe stata, per esempio, con l’introduzione di figure intermedie e/o a tempo pieno, e relativa differenziazione delle retribuzioni) per puntare su un modello meritocratico a gestione monocratica, che affida in ultima istanza al dirigente scolastico (e non a un organo collegiale, perché il Comitato di valutazione definisce solo criteri generali non vincolanti) la gravosa responsabilità di decidere quali docenti sono meritevoli di essere premiati economicamente e quali no.
Anche sulla questione della ‘chiamata’ dei docenti dagli ambiti, potenzialmente di grande portata innovativa, il dirigente scolastico si troverà a decidere da solo, sia pure sulla scorta del PTOF. Sempre che nell’applicazione della norma non si scelgano strade che spersonalizzino la scelta, facendo di fatto rivivere le graduatorie. Un’alternativa sarebbe stata, anche in questo caso, la scelta di far condividere la decisione da qualcosa di simile al Senior Staff inglese, composto, oltre che dal dirigente scolastico, dagli insegnanti più professionalizzati.
Ma il modello di organizzazione e gestione delle scuole scelto dal Governo non prevede alcuna forma di condivisione delle responsabilità riconducibile a quel modello, decisionista ma partecipato: punta tutte le sue carte sulla figura e sul ruolo del dirigente scolastico uti singulus. Una scommessa rischiosa.
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