Big data: l’ossessione che mette a rischio la funzione dell’educazione, la conferenza OEB

Nei giorni 8 e 9 giugno 2017 si svolge a Reykjavick, capitale dell’Islanda, il convegno intermedio (MidSummit) della OEB (acronimo di Online Educa Berlin), la conferenza annuale sul futuro dell’educazione, patrocinata dal ministero federale tedesco e dalla Commissione europea, che si tiene a Berlino dal 1995, in genere nella prima decade di dicembre (https://www.online-educa.com).

Il MidSummit di Reykjavick sarà soprattutto un’occasione di riflessione (una “thinkference”) in preparazione dell’evento di dicembre 2017, che sarà dedicato al tema dell’incertezza: Learning Uncertainty.

Una delle relazioni che saranno presentate in tale occasione, secondo le anticipazioni fornite da OEB, metterà in discussione il condizionamento che l’industria delle tecnologie educative, in forte e aggressivo sviluppo, esercita negli USA sulla finalità fondamentale dell’educazione, che secondo la relatrice Audrey Watters, nota giornalista specializzata in ed-tech e scrittrice, deve essere in primo luogo “pratica di libertà”. 

Secondo Watters, che ha pubblicato nel 2016 una collezione di saggi e discorsi tenuti in conferenze pubbliche intitolata “The Monsters of Education Technology”, la raccolta indiscriminata di grandi quantità di dati educativi (big data) resa possibile dall’uso dei software sempre più potenti prodotti dalle imprese operanti nel settore può dare ai decisori politici un forte potere di controllo sulle opinioni individuali. Un personaggio come il neoeletto presidente USA Donald Trump, afferma esplicitamente la scrittrice, potrebbe avvalersene per esempio per individuare “immigranti irregolari, musulmani e dissidenti politici”.

La polemica, non nuova negli USA, è contro l’impiego dei test come strumento privilegiato e pressoché esclusivo (previsto da tutte le leggi federali, compresa la ESSA di Obama) per misurare i livelli di apprendimento degli studenti. Ma questi test, come altre tecnologie informatiche, contesta Watters – che si è guadagnata anche per questo l’appellativo di “ed-tech’s Cassandra” – sono fallimentari dal punto di vista educativo, sono invasivi e non fanno dell’educazione una “pratica di libertà”: consentono invece forti profitti alle imprese, che sono mosse da motivazioni esclusivamente economiche.