Bertagna: no a standard di apprendimento centralizzati. Anzi, sì.

La definizione centralizzata di standard di apprendimento, riferiti cioè alle prestazioni degli allievi nelle diverse aree e discipline, sarebbe in palese contraddizione con il principio di sussidiarietà, con l’autonomia delle scuole, con la libertà di insegnamento. E segnerebbe la rivincita del “vecchio sistema formale gerarchico-statalista”. E’ la tesi sostenuta da Giuseppe Bertagna, progettista principe della riforma Moratti, in un articolo pubblicato sul numero di marzo di “Tuttoscuola“, ora in edicola (un secondo intervento apparirà nel numero di aprile).

Bertagna interviene puntigliosamente sulla questione dei “livelli essenziali di prestazione”, sostenendo – anche con riferimento all’art. 117, punto m, del nuovo titolo V della Costituzione – che le “Indicazioni nazionali” sulle conoscenze e abilità da far conseguire agli allievi ai diversi livelli sono obbligatorie per le istituzioni (scuole e istituti), ma non per i docenti e gli allievi. Spetta ai docenti di interpretare e tradurre in obiettivi formativi le “Indicazioni”, e solo loro potranno valutare i risultati conseguiti in termini di “competenze” acquisite dagli allievi.

La riforma prevede però che l’Istituto Nazionale di Valutazione effettui “verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti”. La valutazione di sistema riguarderà cioè le competenze acquisite da questi ultimi, non l’azione svolta dalle istituzioni. E come potrà farlo se non disponendo di standard di apprendimento? Come li individuerà? Li stabilirà in astratto, a priori, con una logica “gerarchico-statalista”? Per nulla, dice Bertagna: le prove nazionali dovranno essere costruite a partire dagli obiettivi formativi individuati dagli insegnanti. Insomma gli standard di apprendimento centralizzati ci saranno, anche se saranno definiti a posteriori. Il dibattito è aperto.