Acquisizione di conoscenza e verifica dell’apprendimento

In risposta ai precedenti interventi dei lettori Carlo Eltini e Mikiz, riprende il dialogo la lettrice Gabriella Villa, di cui volentieri pubblichiamo la replica.

Invitiamo anche gli altri lettori al Botta&risposta (o a proporre nuovi argomenti di discussione), scrivendoci come di consueto a botta_e_risposta@tuttoscuola.com.

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Se il cortese Carlo Eltini avesse letto gli interventi di coloro che mi hanno preceduto, avrebbe capito meglio in quale contesto di discussione si è inserito il mio intervento.

Ad ogni modo credo che chi – a scuola – agisce consapevolmente non si scandalizzi affatto dell’uso del termine VERIFICA (al quale peraltro non si attribuisce affatto il senso di VERITÁ) per indicare quell’operazione che il docente fa per capire se un argomento trattato (sia esso il congiuntivo, le equazioni di secondo grado, le tavole degli elementi o la consecutio temporum) è conosciuto e applicato dai propri studenti in una determinata situazione costruita ad hoc (esercizio o altro).

È gioco forza che la prova venga “graduata” secondo una scala di misurazione che viene assunta per “verificare” se la conoscenza - e la conseguente capacità di applicazione – di quel particolare aspetto disciplinare è stata adeguatamente “acquisita” dai propri studenti. Parlo di “acquisizione” perché la distinguo dall’apprendimento che considero un’abilità in fieri e dunque non ancora diventata competenza.

Perché sostengo che è necessario tenere nel debito conto aspetti ben più ampi del solo risultato della verifica di un apprendimento, di qualsiasi natura esso sia? Proprio perché per valutare una “competenza” è necessario ampliare la “raccolta di informazioni” per arrivare a conoscere non solo l’apprendimento di conoscenze e il conseguente uso di abilità ma anche le motivazioni, gli atteggiamenti e soprattutto i comportamenti (si pensi a Cittadinanza e costituzione!).

Tutto questo non esaurisce il lavoro del docente/educatore, ma anzi rende il compito più “chiaro” al docente stesso in primo luogo e secondariamente gli permette di avere argomenti fondati per comunicare le proprie azioni agli stakeholder (studenti, famiglie, comunità sociale).

Concordo poi sulla necessità di formare i docenti di ogni ordine e grado, come sollecitato da Mikiz, riguardo al tema della valutazione che in Italia continua a essere negletto perché sconosciuto ai più.

Inoltre non ho nulla contro le “rilevazioni ” OCSE e PISA, che ritengo utili e necessarie per testare le “competenze” che gli studenti dovrebbero padroneggiare per affrontare degnamente il mondo del lavoro in Europa, ma non le considererei il modello unico per la valutazione a scuola in quanto quelle rilevazioni sono destinate e adatte a indagini “di sistema” e non a valutazioni strettamente “didattiche” (e qui si potrebbe aprire un ampio dibattito sull’utilità per l’insegnamento delle valutazioni di questo secondo tipo).

Riguardo poi all’invito a proporre una competenza comincerei con il SAPER INSEGNARE. Il “saper insegnare” si fonda su conoscenze disciplinari, pedagogiche, didattiche, docimologiche, capacità comunicative, di sintesi, di analisi, di critica, tecniche, empatiche ecc. che, degnamente coltivate, fondano la competenza dell’insegnante. Serve declinare in obiettivi? Ciascun docente dovrebbe essere in grado di individuarli e perseguirli per sé, per il suo arricchimento personale e professionale. Quindi, di nuovo, come affermato dal prof. Mikiz è ormai ineludibile per ciascun

docente porsi in un’ottica di lifelong learning.

Dott.ssa Gabriella Villa

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