
Torna il latino alle medie? Se ne discute dai tempi della Costituente

La scorsa settimana il ministro dell’istruzione Bianchi, rispondendo a una interrogazione di alcuni senatori di Forza Italia, che proponevano di ripristinare lo studio del latino “nelle scuole secondarie di primo grado”, come riferito da Tuttoscuola, ha riconosciuto il valore formativo della materia, ma ha anche escluso che essa possa essere reintrodotta per via legislativa perché questo comporterebbe “una rimodulazione dell’intero piano di studi e dei relativi quadri orari”.
E anche perché, andrebbe aggiunto, una eventuale proposta di legge che andasse in quella direzione aggiungerebbe oggi un nuovo, complicato capitolo alla storica contesa tra sostenitori e avversari della presenza e del peso di questa disciplina all’interno dei piani di studio della scuola media.
Un confronto che ha accompagnato la storia dell’Italia repubblicana fin dai lavori della Costituente (1947), quando il diritto di ciascun giovane, anche se povero, ad accedere a una scuola media di qualità, comprensiva dello studio del latino, fu sostenuto da Concetto Marchesi, illustre latinista e deputato del PCI, convinto a differenza di altri esponenti del suo stesso partito che l’apprendimento della “grammatica di una lingua morta” fosse “strumento più adatto di qualsiasi lingua viva alla formazione mentale dell’alunno”.
Un’opinione condivisa da uno schieramento trasversale ai partiti politici, che pesò anche sulla scelta di mantenere lo studio del latino, sia pure in forma facoltativa, nella scuola media unificata (legge n. 1859 del 31 dicembre 1962), e che animò una forte resistenza alla definitiva soppressione del latino decisa con la legge n. 348 del 1977.
Pochi anni dopo, nel corso del dibattito sulla riforma della scuola secondaria superiore, che secondo alcune ipotesi allora circolanti prevedeva l’esclusione o la forte penalizzazione del latino, un gruppo di 130 prestigiosi intellettuali di diverso orientamento politico, compresi alcuni vicini al PCI (ma di “scuola Marchesi”) prese posizione contro tali ipotesi chiedendo anzi di tornare indietro sulla decisione del 1977. Anche Tuttoscuola partecipò attivamente al dibattito proponendo il ripristino dello studio del latino “almeno in un anno della scuola media”, come scrisse Alfredo Vinciguerra in un articolo del 2 marzo 1983, intitolato “Il rimpianto del latino”, poi ripubblicato nel volume “Il Paese che non amava la scuola”, ricordato anche dall’ex ministro della PI Gerardo Bianco nella sua testimonianza contenuta nello Speciale “Alfredo Vinciguerra trent’anni dopo”, scaricabile gratuitamente dal nostro sito.
Non se ne fece nulla, come nulla d’altra parte si fece sul fronte della riforma della scuola secondaria superiore. Da allora le preoccupazioni per la scarsa padronanza della lingua italiana da parte dei nostri studenti sono cresciute, ed è anche per questo che il “rimpianto del latino” – come strumento utile a consolidare una migliore conoscenza e competenza nell’uso della lingua italiana – non è mai venuto meno. Non resta che augurarsi che l’adesione delle scuole e delle famiglie all’ipotesi ventilata dal ministro Bianchi di inserire lo studio facoltativo del latino nei PTOF delle scuole medie sia larga e convinta. Certo, una misura più strutturale, con adeguata formazione dei docenti di lettere, sarebbe altamente auspicabile. (O.N.)
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