53° Rapporto Censis. L’Italia cerca l’uomo forte? La scuola no

Se nel 2017 la parola chiave del Rapporto Censis fu ‘rancore’ e nel 2018 ‘cattiveria’, quella proposta per il 2019 dal Centro guidato da Giuseppe De Rita è ‘incertezza’, che rappresenta lo stato d’animo con cui il 69% degli italiani guarda al futuro (76% nel ceto popolare).

È questo stato d’animo, dovuto anche all’instabilità e alle convulsioni del quadro politico (il 76% non ha fiducia nei partiti ma la percentuale sale all’81% tra gli operai e all’89% tra i disoccupati), che è alla base delle “pulsioni antidemocratiche” emerse nell’ultimo anno, e che spiega perché, secondo il Rapporto, ben il 48% degli italiani (62% tra i meno istruiti) sarebbe favorevole a un “uomo forte al potere”.

Non possiamo non notare che il Rapporto di quest’anno mette in più punti l’accento sull’influenza del fattore ‘istruzione’ sui comportamenti, sulle aspettative e sullo stesso ‘stato d’animo’ della popolazione. Basti osservare il quadro sintetico che esso offre del sistema educativo italiano: “Pochi laureati, frequenti abbandoni scolastici, bassi livelli di competenze tra i giovani e gli adulti: il 52,1% dei 60-64enni si è fermato alla licenza media (a fronte del 31,6% medio nell’Unione europea). Ma anche tra i 25-39enni il 26,4% non ha conseguito un titolo di studio superiore (contro il 16,3% medio della Ue). Il 14,5% dei 18-24enni (quasi 600.000 persone) non possiede né il diploma, né la qualifica e non frequenta percorsi formativi. Nel 2018 ha partecipato ad attività di apprendimento permanente solo l’8,1% della popolazione 25-64enne (appena il 2% di chi possiede al massimo la licenza media). Il 68% degli adulti non possiede sufficienti conoscenze finanziarie di base”.

Non mettiamo in dubbio l’attendibilità dei dati del Censis, che ha una cinquantennale storia di efficaci analisi sociali, e prendiamo atto della correlazione che esso sembra sottolineare tra il (basso) livello di istruzione e l’(alto) tasso di favorevoli all’“uomo forte al potere”. Ci permettiamo tuttavia di osservare che il mondo della scuola ha dimostrato in più occasioni di diffidare di quel modello: l’opposizione alla Buona Scuola è stata in primo luogo l’opposizione al ruolo autocratico del ‘preside sceriffo’ in nome di una visione partecipativa del ruolo dei docenti, e questo orientamento sembra aver molto influito anche sul voto contrario espresso dagli insegnanti in occasione del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, vissuto – a torto o a ragione – come la prefigurazione di una svolta in senso autoritario, e anche sul voto politico del 4 marzo 2018.

La partecipazione di massa degli studenti alle manifestazioni per il clima e l’adesione di molti giovani acculturati al movimento delle ‘sardine’, che è soprattutto antiautoritario, lasciano pensare che almeno nel mondo della scuola e tra i giovani l’auspicio di un “uomo forte” sia davvero l’ultimo dei pensieri. (ON)