Il conflitto psichico
Lo studio di aspetti rilevanti del conflitto psichico (fisionomia, fattori, condizioni, esempi concreti, effetti) rappresenta un irrinunciabile banco di prova per le conoscenze sui rapporti tra processi cognitivi e affettivi e offre opportunità per sviluppi in vari campi applicativi, incluso il settore educativo. In continuità con gli studi sul conflitto si pone l’indagine sistematica centrata sui temi dello stress e dell’esperienza per certi versi opposta, che chiamiamo di comfort.
Nella tradizione della ricerca sperimentale lo studio degli effetti psichici provocati dall’attivazione di un temporaneo stato di stress risale agli anni ’30 e ’40: epoca in cui negli Stati Uniti si sviluppano alcune impostazioni funzionaliste (con i contributi rappresentativi di Bruner e Postman, 1949); mentre in Europa, e poi nella stessa America, maturano i lavori dei cosiddetti “gestaltisti del campo”, come la Dembo (1931) e Lewin (1935, 1939). Si comincia così a delineare il dibattito relativo all’influenza dei fattori motivazionali sui processi cognitivi, tra i quali occupano un ruolo di rilievo i processi di apprendimento.
Un orientamento significativo è quello che conduce il soggetto stressato al rifiuto o alla protesta di fronte ad ulteriori situazioni conflittuali (da cui appunto il termine di “modello di sovraccarico”). Ne sono esempi la comparsa o l’intensificazione di forme di intolleranza al conflitto, effetto che può assumere di volta in volta le sembianze dell’intolleranza per l’incongruità, l’ambiguità, l’indeterminatezza e l’incertezza, la novità e la complessità: dato che si tratta comunque di proprietà che implicano, in misura maggiore o minore, aspetti conflittuali. Dall’intolleranza per le suddette proprietà derivano, a cascata, una serie di ulteriori importanti effetti funzionali, che investono, a parità di altre condizioni, anche le dinamiche interpersonali.
La dimensione educativa
Nell’ambito educativo, si può rispondere al sovraccarico di conflitto anche grazie all’atteggiamento del dirigente scolastico, il quale può intervenire, per una gestione efficace, sulle dinamiche conflittuali inevitabilmente presenti. A tal fine un leader efficace deve conoscere bene, e dal di dentro, le esigenze degli operatori dell’organizzazione e le difficoltà da loro incontrate. Avendo consapevolezza delle leggi generali che regolano la produzione di conflitto psichico a livello individuale e di gruppo, egli potrà divenire un vero e proprio esperto di processi di mediazione, con spiccate competenze quindi di tipo psicologico-relazionale.
Possiamo quindi aspettarci che queste variabili intervengano anche nel rapporto tra docenti e altri docenti, nonchè tra docenti e dirigenti scolastici: nel senso che, per esempio, l’essere molto intolleranti del conflitto (con atteggiamenti rigidi, ansiosi, aggressivi) può portare, a parità di altre condizioni, a fronteggiare in modo meno efficace gli stress legati alla vita scolastica, inibendo le capacità di problem solving in chiave creativa dei problemi incontrati. Ci possiamo invece aspettare che la tolleranza del conflitto (con atteggiamenti plastici, non ansiosi, in genere più aperti all’ esperienza) aiuti nel fronteggiamento dello stress, grazie anche ad una maggiore capacità di immaginare soluzioni divergenti ai problemi incontrati. Tali processi generalmente facilitano atteggiamenti di collaborazione tra colleghi o tra colleghi e superiori e permettono il superamento di posizioni difensive, le quali rappresentano il primo ostacolo alla produttività.
Il Dirigente scolastico
Se il dirigente scolastico conosce quali i motivi di soddisfazione e di insoddisfazione dei docenti o colleghi rispetto all’attività svolta, può adoperarsi per cercare di prevenire o ridurre i livelli di distress individuali e collettivi. Per garantire il benessere del lavoratore e dell’organizzazione, inoltre, egli potrà tener conto della disponibilità media alla tolleranza del conflitto anche nel formare gruppi di lavoro compatibili e, come tali, maggiormente dotati di risorse di fronte alle problematiche professionali.
L’insieme di queste conoscenze può infine permetterci di delineare delle ipotesi esplicative in merito alle varie tipologie di rapporto educativo, quale caso specifico all’ interno del più vasto contesto dei rapporti interpersonali. Per esempio un educatore con atteggiamenti molto rigidi può apparire poco tollerante dei comportamenti adolescenziali tipici, mentre un atteggiamento più accettante nei confronti di tali comportamenti può permettere di gestire la relazione educativa in modo più funzionale.
Particolarmente innovativo sarà, a nostro avviso, tenere conto, nel prossimo futuro, delle esigenze dello staff dei docenti, potenziando la gestione costruttiva delle dinamiche conflittuali in un’ottica di valorizzazione delle risorse umane: ciò potrà fornire le basi per ottenere positive ricadute indirette, a medio e lungo termine, anche per il miglioramento dell’organizzazione didattica e della qualità degli apprendimenti.
di Valeria Biasi,
Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi “Roma Tre”.
Registrati a tuttoscuola
Benvenuto su Tuttoscuola.com!
Registrati a tuttoscuola
Grazie per esserti registrato
controlla il tuo indirizzo di posta per attivare il tuo abbonamento