2021-2022/1. 50 anni dalla ‘difficile scommessa’

La difficile scommessa” è il titolo di un noto libro del pedagogista Raffaele Laporta, uscito nel 1971 (La Nuova Italia), nel pieno del post-sessantotto e della ricerca di un nuovo e socialmente più avanzato ed equo modello di insegnamento e apprendimento. Erano gli anni della contestazione radicale della scuola tradizionale e della sua selettività, che la riforma della scuola media del 1962 aveva addirittura accentuato (la Lettera a una professoressa è del 1967) e che la mancata riforma della scuola secondaria superiore aveva fatto esplodere.

Il sistema scolastico, non solo in Italia, era entrato in crisi senza che fossero state poste le fondamenta per una alternativa, giudicata peraltro impossibile, da una parte, dai teorici della “descolarizzazione” (Illich, Reimer), e dall’altra da una parte importante della sociologia dell’educazione (Bourdieu e Passeron), che la giudicavano irriformabile in quanto capace solo di riprodurre le disuguaglianze sociali.

Laporta invece, e con lui altri autorevoli pedagogisti italiani di orientamento democratico (tra i quali Lamberto Borghi, Aldo Visalberghi, Mauro Laeng), puntarono, sul piano della ricerca scientifica e di una intensa attività pubblicistica, sulla riformabilità della scuola, valorizzandone il ruolo, previsto dalla Costituzione, di principale fattore di uguaglianza tra i cittadini (art. 3, comma 2: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”).

La “difficile scommessa” di cui parlava Laporta 50 anni fa era quella di riconvertire in senso democratico e popolare la funzione sociale e l’impianto istituzionale di una scuola che la riforma Gentile aveva voluto gerarchica, selettiva e “classista”, per usare un aggettivo allora abusato. Quella scommessa ha registrato alcuni successi (la legge sulle 150 ore è del 1970, quella sul tempo pieno del 1971, i ‘decreti delegati’ sulla ‘partecipazione’ del 1973-74), ma la scuola nel suo complesso non è cambiata nei decenni successivi, come mostrano l’andamento storico dei dati sulla dispersione esplicita e implicita, i profondi squilibri territoriali e per tipologia di scuola, i ‘NEET’ concentrati nel Mezzogiorno, i pochi laureati. Tutti fenomeni che la sospensione della didattica tradizionale (dovuta al Covid, certo non alla DaD) non ha fatto che evidenziare ulteriormente. La partita resta aperta.  

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