Mobilità docenti di sostegno 2017: lo tsunami che colpisce gli alunni disabili

Un esercito di 137 mila insegnanti di sostegno, più dei Carabinieri, il doppio dei medici; un grande investimento (5 miliardi di euro l’anno solo per gli stipendi), nel Paese che per primo 40 anni fa ha creduto nell’integrazione scolastica degli studenti con disabilità, superando le terribili classi differenziate: tutto in buona parte vanificato da un’insensata girandola di cattedre: 100 mila alunni con disabilità (il 43%) hanno cambiato quest’anno docente, spesso più di uno.

Siamo andati nella scuola dove 15 bambini disabili tra i 3 e i 6 anni hanno visto alternarsi in pochi mesi 27 docenti di sostegno. Purtroppo non è un caso isolato. Eppure i rimedi organizzativi non sarebbero così difficili da attuare…

Lo tsunami che quest’anno ha colpito la scuola statale con la mobilità di 250 mila docenti (uno su tre) non ha risparmiato gli alunni più deboli, quelli con disabilità, e, anzi, per loro si è accanito con effetti ancora peggiori. Con grave pregiudizio del loro diritto allo studio.

Se, infatti, oltre 2 milioni e mezzo di alunni (il 33% dell’intera popolazione scolastica) si trovano quest’anno con almeno un insegnante nuovo in classe, è andata peggio agli alunni con disabilità, perché almeno 100 mila di loro (il 43% dei 233 mila alunni disabili presenti quest’anno nelle classi di ogni ordine di scuola) hanno cambiato il docente di sostegno.

Gli insegnanti di sostegno in Italia sono più del doppio dei medici (137 mila rispetto a 64 mila, dati Istat – “L’Italia in cifre. Salute e sanità”), per una spesa di 5 miliardi di euro l’anno in stipendi, eppure non si riesce ad assicurare un supporto stabile a una quota così alta di studenti disabili.

E non è finita qui. Se manca il nuovo docente di sostegno titolare (magari per congedo per assistenza a un familiare malato come nel caso di Padova diventato famoso, oppure per messa in aspettativa, etc) o il posto è vacante, può essere un calvario trovare il supplente annuale da nominare, in una sequenza di supplenti temporanei che si avvicendano, a volte per mesi, in attesa dell’arrivo dell’“avente diritto”, come lo definisce l’ineffabile terminologia burocratica (che non si sofferma sul vero “avente diritto”, la persona disabile che ha il diritto di studiare nelle migliori condizioni possibili).

Per capire gli effetti di questa girandola diabolica, occorre tenere presente che i docenti di sostegno che aspirano ad una supplenza sono iscritti sia in una graduatoria provinciale (per le supplenze annuali) sia in diverse graduatorie di istituto (per le supplenze brevi).

Un docente nominato su supplenza d’istituto può essere chiamato altrove per supplenza annuale; il supplente che lo sostituisce può essere chiamato a sua volta per supplenza annuale in un altro istituto, e così via, in un gioco dei quattro cantoni che a volte dura due o tre mesi prima di stabilizzarsi.

Ma al peggio non c’è mai fine: la ricerca del docente di sostegno supplente che avrà il posto fino alla fine dell’anno scolastico, che può durare mesi, va sempre a buon fine? Purtroppo no: e allora – e sembra un paradosso – l’alunno disabile viene affidato a un docente non specializzato, che non ha una preparazione specifica e che non ha chiesto di insegnare ad alunni disabili. E’ capitato quest’anno in molte province nelle quali non si trovano insegnanti di sostegno, mentre in alcune regioni (Sicilia, Sardegna, Abruzzo), grazie ad una contrattazione sindacale integrativa, docenti non di sostegno che avevano richiesto l’assegnazione provvisoria sono stati assegnati su posti di sostegno liberi (magari sorpassando precari specializzati nel sostegno che ambivano a quei posti).

E per il prossimo anno scolastico, con gli accordi che Governo e sindacati stanno definendo in questi giorni e che fanno cadere eccezionalmente (ma per il secondo anno consecutivo) il vincolo triennale di permanenza nella provincia, è prevedibile un analogo tourbillon di cattedre, compresi i posti di sostegno.

Tutto ciò è l’effetto incrociato della mobilità dei docenti di ruolo e delle nomine dei supplenti annuali sugli studenti con disabilità. Infatti, come spiegato del dossier di Tuttoscuola “Mobilità 2017. Il grande caos, atto secondo. E agli studenti chi ci pensa?”, presentato la scorsa settimana e consultabile integralmente (www.tuttoscuola.com), la “scuola mobile” è dovuta a due fenomeni: da un lato la possibilità offerta ai docenti di ruolo di richiedere il trasferimento a prescindere dalla compatibilità con le esigenze anche qualitative del servizio offerto agli studenti (di cui da sempre si avvale ogni anno un numero molto elevato di insegnanti: circa il 10% dell’organico, ma che quest’anno è esploso per via del “piano straordinario di mobilità” previsto dalla “Buona scuola”); dall’altro lo spropositato utilizzo che lo Stato fa di contratti a tempo determinato (circa 100 mila supplenti annuali, quasi il 13% dei posti, tra i quali ben 41 mila impegnati nel sostegno ai disabili). Un utilizzo non una tantum, né a carattere straordinario, ma che si ripete stabilmente (non usiamo questo avverbio a caso) ogni anno: l’ininterrotta catena di contratti a tempo determinato che si chiudono e si riaprono settimane o mesi dopo alimenta complicati meccanismi (descritti all’interno del dossier) di graduatorie e di assegnazione su decine di migliaia di sedi di servizio contribuendo non poco a generare il marasma organizzativo che caratterizza la scuola italiana.

Semplificando molto (ma spesso ridurre all’essenziale aiuta a inquadrare problemi complessi), una regolamentazione dei trasferimenti compatibile con le esigenze del servizio (e non “a prescindere”) e la stabilizzazione dei posti effettivamente utilizzati nel tempo porterebbero a livelli fisiologici la mobilità dei docenti, con un enorme salto di qualità nel servizio di istruzione offerto dalla scuola alle famiglie.

I danni della discontinuità didattica sono elevati all’ennesima potenza per gli alunni con disabilità: se l’interruzione della relazione con il docente è in generale negativa, per un alunno disabile, che ha un grado di dipendenza dal docente molto maggiore (specie nel caso di disabilità intellettiva), può essere devastante. Anche perché, nel suo caso, è molto più complesso e lungo stabilire la relazione educativa con l’insegnante a lui dedicato, che richiede una reciproca conoscenza e competenze specifiche del docente, e quindi più deleterio interromperla. Per non parlare del fatto che la fondamentale collaborazione con gli altri docenti della classe, va a farsi benedire: “l’insegnante ‘di sostegno’ è una risorsa che arricchisce la competenza del gruppo docente, non una stampella alla quale l’alunno con disabilità deve aggrapparsi (Italo Fiorin, “Inclusione, il coraggio di cambiare paradigma”, Tuttoscuola, febbraio 2016). Eppure la continuità didattica quest’anno è stata negata a quasi la metà degli studenti che con tutte le loro forze affrontano, anche nel percorso scolastico, le barriere che la vita ha posto loro davanti.

E pensare che la maggior parte dei fortunati che non vengono toccati dalla girandola di cattedre ricevono un supporto eccezionale, come è nel loro diritto, addirittura all’avanguardia a livello internazionale, con insegnanti specializzati ben preparati che collaborano sinergicamente con un corpo docente responsabile, un’assistenza efficace da parte dei servizi territoriali, etc). Il passo da fare è quello di garantire a tutti questo diritto, non può essere una lotteria.

Leggi le altre parti del dossier di Tuttoscuola “Mobilità insegnanti di sostegno: lo tsunami che colpisce gli alunni disabili”
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