‘Le Favolette di Alice’ di Gianni Rodari: gli audio da far ascoltare ai più piccoli

Nel periodo del lockdown milioni di studenti sono stati costretti a rimanere a casa. E se è stato un po’ più facile organizzare la didattica a distanza per i ragazzi più grandi della scuola secondaria, lo è stato un po’ meno per i più piccini. Per aiutare i genitori e, magari, anche qualche insegnante della scuola dell’Infanzia a organizzare dei momenti con i bambini a distanza, Tuttoscuola ha pensato, in quell’occasione, di realizzare delle audio fiabe da far ascoltare ai più piccoli.

Audio fiabe che sono state davvero tanto apprezzate, e possiamo farle ascoltare ai bambini anche in questi giorni di festività. All’interno di questo articolo possiamo quindi ascoltare il nostro Sergio Govi leggere “Le Favolette di Alice” di Gianni Rodari. 

Abbiamo già realizzato la lettura de “Le favole al telefono”di Gianni Rodari, lette da Sergio Govi. 

Clicca qui per leggerle e ascoltarle

Ascolta “Le Favolette di Alice” di Gianni Rodari lette da Sergio Govi 

Alice cascherina

Ascolta la favola

Questa è la storia di Alice Cascherina, che cascava sempre dappertutto.

Il nonno la cercava per portarla ai giardini:
“Alice! Dove sei, Alice?”
“Sono qui, nonno”.
“Dove, qui?”
“Nella sveglia”

Si, aveva aperto lo sportello della sveglia per curiosare un po’, ed era finita tra gli ingranaggi e le molle, ed ora le toccava di saltare continuamente da un punto all’altro per non essere travolta da tutti qui meccanismi che scattavano facendo tic-tac.

Un’altra volta il nonno la cercava per darle la merenda:
“Alice! Dove sei, Alice?”
“Sono qui, nonno”.
“Dove, qui?”
“Ma proprio qui, nella bottiglia. Avevo sete, ci sono cascata dentro”.

Ed eccola là che nuotava affannosamente per tenersi a galla. Fortuna che l’estate prima, a Sperlonga, aveva imparato a fare la rana.
“Aspetta che ti ripesco”.

Il nonno calò una cordicina dentro la bottiglia, Alice vi si aggrappò e vi si arrampicò con destrezza. Era brava in ginnastica.

Un’altra volta ancora Alice era scomparsa. La cercava il nonno, la cercava la nonna, la cercava una vicina che veniva sempre a leggere il giornale del nonno per risparmiare quaranta lire.
“Guai a noi se non la troviamo prima che torniano dal lavoro i sui genitori,” mormorava la nonna, spaventata.

“Alice! Alice! Dove sei, Alice?”
Stavolta non rispondeva. Non poteva rispondere.
Nel curiosare in cucina era caduta nel cassetto delle tovaglie e dei tovaglioli e ci si era addormentata.
Qualcuno aveva chiuso il cassetto senza badare a lei.

Quando si svegliò, Alice si trovò al buio ma non ebbe paura: una volta era caduta in un rubinetto, e là dentro sì che faceva buio.
“Dovranno pur preparare la tavola per la cena,” rifletteva Alice. “E allora apriranno il cassetto”.

Invece nessuno pensava alla cena, proprio perchè non si trovava Alice. I suoi genitori erano tornati dal lavoro e sgridavano i nonni: “Ecco come la tenete d’occhio!”
“I nostri figli non cascavano dentro i rubinetti,” protestavano i nonni, “ai nostri tempi cascavano soltanto dal letto e si facevano qualche bernoccolo in testa”.

Finalmente Alice si stancò di aspettare. Scavò tra le tovaglie, trovò il fondo del cassetto e cominciò a batterci sopra con un piede.
Tum, tum tum.
“Zitti tutti,” disse il babbo, “sento battere da qualche parte”.
Tum, tum, tum, chiamava Alice.

Che abbracci, che baci quando la ritrovarono. E Alice ne approfittò subito per cascare nel taschino della giacca di papà e quando la tirarono fuori aveva fatto in tempo a impiastricciarsi tutta la faccia giocando con la penna a sfera.

Alice casca in mare

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Una volta Alice Cascherina andò al mare, se ne innamorò e non voleva mai uscire dall’acqua.

“Alice, esci dall’acqua”, la chiamava la mamma.

“Subito, eccomi”, rispondeva Alice. Invece pensava: “Starò in acqua fin che mi cresceranno le pinne e diventerò un pesce”.

Di sera, prima di andare a letto, si guardava le spalle nello specchio, per vedere se le crescevano le pinne, o almeno qualche squama d’argento. Ma scopriva soltanto dei granelli di sabbia, se non si era fatta bene la doccia.

Una mattina scese sulla spiaggia più presto del solito e incontrò un ragazzo che raccoglieva ricci e telline.

Era figlio di pescatori, e sulle cose di mare la sapeva lunga.

“Tu sai come si fa a diventare un pesce?” gli domandò Alice.

“Ti faccio vedere subito”, rispose il ragazzo.

Posò su uno scoglio il fazzoletto con i ricci e le telline e si tuffò in mare. Passa un minuto, ne passano due, il ragazzo non tornava a galla. Ma poi ecco al suo posto comparire un delfino che faceva le capriole tra le onde e lanciava allegri zampilli nell’aria.

Il delfino venne a giocare tra i piedi di Alice, ed essa non ne aveva la minima paura.

Dopo un po’ il delfino, con un elegante colpo di coda, prese il largo.

Al suo posto riemerse il ragazzo delle telline e sorrise:

“Hai visto com’è facile?”

“Ho visto, ma non sono sicura di saperlo fare”.

“Provaci”.

Alice si tuffò, desiderando ardentemente di diventare una stella marina, invece cadde in una conchiglia che stava sbadigliando, ma subito richiuse le valve, imprigionando Alice e tutti i suoi sogni.

“Eccomi di nuovo nei guai”, pensò la bimba. Ma che silenzio, che fresca pace, laggiù e là dentro. Sarebbe stato bello restarci per sempre, vivere sul fondo del mare come le sirene d’una volta. Alice sospirò. Le venne in mente la mamma, che la credeva ancora a letto; le venne in mente il babbo, che proprio quella sera doveva arrivare dalla città, perchè era sabato.

“Non posso lasciarli soli, mi vogliono troppo bene. Tornerò a terra, per questa volta”.

Puntando i piedi e le mani riuscì ad aprire la conchiglia abbastanza per saltarne fuori e risalire a galla.

Il ragazzo delle telline era già lontano.

Alice non raccontò mai a nessuno quello che le era capitato.

Alice nella bolla di sapone

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Alice Cascherina faceva le bolle di sapone.

A un tratto forse soffiò troppo forte, fece una bolla più grossa delle altre e ci cadde dentro con tutta la cannuccia.

La bolla sorpassò la ringhiera, il vento la spinse in alto e sarebbe andata a scoppiare contro la grondaia se Alice, buttandosi tutta dall’altro lato, non l’avesse costretta col suo peso a deviare.

“Meno male che è una bolla dirigibile, – pensò Alice per consolarsi – e meno male che a quest’altezza non ci sono farfalle”. Poco prima, infatti, aveva visto una farfalla e una bolla scontrarsi, e la bolla si era dissolta.

A quest’altezza, però, volavano le rondini, perché si avvicinava la sera ed era l’ora, per loro, di fare provvista di moscerini. “Speriamo che non mi prendano per una zanzara”, pensò Alice con un po’ di batticuore.

La bolla oscillava pigramente tra un tetto e l’altro.

Alice poté vedere distintamente la nonna, uscita sul balcone a cercarla.

Povera vecchietta: si sporgeva dalla ringhiera e guardava in giù, forse temendo che Alice fosse caduta in strada.

“Nonna nonna – chiamò Alice.

Le pareti della bolla tremarono pericolosamente.

– Qua bisogna parlare piano. Uno strillo potrebbe causare un’esplosione o un naufragio”.

Il mondo, là dentro, appariva più colorito, ed ogni cosa era fasciata almeno da un arcobaleno, se non da due. Alice si guardò una mano e anche la mano aveva al dito un arcobaleno piccolo come un anello.

“Dove andrò? Dove andremo? Dove vanno le bolle di sapone, quando non cadono e il vento le porta via?”.

Non andarono lontano: la bolla si posò sul terrazzo di una villetta di quattro piani, e posandosi scoppiò.

Alice venne fuori: qualche goccia di saponata sulla punta delle scarpe era tutto quel che restava delle bella bolla di sapone.

Sul terrazzo non c’era nessuno, solo dei panni stesi ad asciugare, in fila su tante corde e un gatto che si crogiolava agli ultimi raggi del sole tra le antenne dei televisori.

Alice cercò la porta delle scale e tornò a casa.

Alice nel calamaio

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Una volta Alice Cascherina tuffò il pennino nel calamaio con un po’ troppa energia e ci cascò dentro.

Ahi! disse una voce al suo fianco.

Alice non vide nessuno, perché l’inchiostro è nero di dentro come di fuori.

Domandò: Chi è? Che ti ho fatto?

Mi hai urtato, sono la parola FRAGILE e devi trattarmi con delicatezza: avresti potuto spezzarmi.

Tante scuse, disse Alice, nuotando un po’ più in là.

Ora cominciava a distinguere certe ombre che nuotavano attorno a lei: talune lunghe, talune corte, talune con un accento sulla testa. Erano le PAROLE.

Il calamaio ne era così pieno che non si capiva come potesse contenerne tante: bisognava per forza urtarne qualcuna nel muoversi. Ma per fortuna non tutte si offendevano.

Salute! disse allegramente una parola a cui Alice per sbaglio aveva dato un colpo sulla coda.

Io sono Alice: E lei?… Sono la parola MATTACCHIONE una ne faccio e una ne penso: Con me si ride.

Ma io non rido, osservò Alice. Fatti il solletico e riderai. Ahahah!….

Spirito di patata! osservò una voce profonda lì vicino.

Chi è? domandò Alice. Sono la parola DISASTRO. Capirà: a me la voglia di ridere non mi viene tanto facilmente!

Scusi domandò Alice, lei che è tanto serio, potrebbe indicarmi le parole per fare un bel componimento?

Ah…Io conosco solo parole serissime: SCONTRO, TERREMOTO, NUBIFRAGIO, BOCCIATURA, LATTE ROVESCIATO SUL GAS e roba simile.

Grazie tante, disse Alice.

E si allontanò con una mossa brusca che la portò a pungersi sullo spunzone della parola SPINA.

Ritrovò ben presto l’orlo del calamaio, ci si arrampicò e rivide la luce.

Ah, respiro! disse riprendendo fiato e asciugandosi il vestito.

– Le parole per il componimento le cercherò dentro di me: nel calamaio c’è troppa confusione.

Alice nella torta

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Alice Cascherina casca sempre e dappertutto.

Una volta cascò in una torta.

È il compleanno di Alice. Sul tavolo brilla una torta con sette candeline; intorno al tavolo ci sono gli invitati, grandi e piccoli, e la più piccola è Alice.

Ad un tratto gl’invitati si accorgono che manca Alice. La sua presenza è indispensabile, perché è proprio il momento di tagliare la torta.

Che si fa? La cercano in bagno, la cercano in camera da letto, la cercano sul balcone. Che si sia nascosta sotto la tavola per fare uno scherzo?

No. Sotto la tavola non c’è Alice: c’è soltanto il cane, che aspetta con impazienza la sua parte di dolce.Alice!…Alice!… – la chiamano.

Alice sente e vorrebbe rispondere, ma non può: in questo momento sta attraversando faticosamente un denso strato di panna montata.

Che montagna bianca e profumata! Gli occhi di Alice non vedono che bianco. Poi, lontano lontano vedono un’ombra rossa che si avvicina. Quando ci sbatte il naso, Alice si accorge che è una ciliegia candida.

Avanti, sempre più avanti, ma i piedi sprofondano. Il pan di Spagna cede sotto il peso di Alice, sebbene si tratti di un peso tanto leggero che due formiche, con po’ di allenamento, potrebbero portarsi Alice sulle spalle nel loro formicaio.

Sotto il pan di Spagna c’è qualcosa di duro. Sarà la tavola? Sarà il cartone del vassoio?

Alice si china, tocca con il dito, assaggia: è cioccolato.

Alice procede in ginocchio, fermandosi ogni tanto per dare una leccatina.

Ora ha battuta la testa in uno spigolo.  

Ma che spigolo? In una torta non ci possono mica essere muri, corridoi e camere! Nessuno, che si sappia, ha mai abitato dentro a una torta.

Neanche i topi, i quali preferiscono le loro gallerie nel formaggio. E che sia parmigiano!

Non è uno spigolo; è una punta. È, precisamente, la punta del sostegno a forma di margherita infilato nella torta. E nel tondo della margherita – come Alice sa – è infilata una delle sette candeline.

Alice si arrampica coraggiosamente su per la candelina.

Eccola che spunta dalla superficie zuccherata della torta la sua testina nel centro della lettera E delle parole “BUON  COMPLEANNO” scritte con il cioccolato.

Evviva! – gridano gl’invitati, tirando un sospiro di sollievo.

Golosa! – brontola il nonno.

Ma anche lui è contento che Alice non si sia fatta nulla di male e che ora possa soffiare per spegnere le sette candeline.

Tutti mangiano la torta, ma Alice non ne vuole: la sua parte l’ha già avuta.

Alice casca in una lucciola

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Una sera Alice Cascherina andò al Gianicolo a vedere Roma illuminata.

Invece vide una lucciola che si aggirava tra le siepi e le aiuole accendendo e spegnendo la sua piccola lanterna verde.

– È proprio interessante – disse Alice. E fece per afferrare la lucciola.

Invece cascò dentro il suo lumino.

C’era luce da tutte le parti: era come stare in una lampadina.

Poi la luce si spense ed era come stare nella cabina di un aeroplano, buio di dentro e notte fuori.

La lucciola vagava senza una meta apparente.

– Ma dove vai? – domandò Alice, bussando contro un lato della lanterna.

La lucciola non si era ancora accorta di avere una viaggiatrice clandestina. A sentir bussare si spaventò e corse a posarsi sul cannone che spara a mezzogiorno.

– Chi c’è lì dentro?
– Sono Alice.
– E come ci sei venuta?
– Beh! Ci sono cascata!
– Dove vuoi che ti porti?
– Fa’ tu.

La lucciola la portò dalla signora delle lucciole che stava in cima al monumento di Garibaldi, sull’elsa della sciabola sguainata.

– Abbiamo un’ospite.
– Fammela un po’ vedere. Hum! Una bambina. Noi non abbiamo mai avuto bambini. Che cosa mangerà?
– Mangio di tutto, signora: gelato, salame, prugne un po’ acerbe…
– Non abbiamo niente di tutto questo. Posso darti della rugiada da bere, ma bisogna aspettare che cada.
– Aspetterò.

Quando cadde la rugiada gliela diedero da bere. Era come l’acqua, ma più buona.

Intanto la signora delle lucciole, sospirando, le confidò le sue preoccupazioni.

– Una volta i nostri lumini avevano uno scopo: la gente usciva di sera per vederci, ma adesso di sera circolano tante automobili, accendono e spengono i loro fari: chi le guarda più le lucciole? Dovremo mettere i fari elettrici anche noi; oppure ci toccherà ritirarci.
– Dove?
– Chi lo sa? Le automobili vanno anche in campagna!
– Io so un bel posto – disse Alice – volete che ve lo mostri?

Alice guidò le due lucciole fino a casa sua, nella sua camera. Non accese la luce. Si fece posare sul letto e lasciò che le lucciole vagassero per la stanza a loro piacere: dal porta-spazzole al tavolino per fare i compiti.

Alice, senza volerlo, si addormentò. Di quando in quando le pareva di svegliarsi e di vedere ancora le lucciole, ma erano i fari delle automobili che passavano nella strada e incrociavano le sciabolate di luce sul soffitto e sulle pareti della stanza.

Le lucciole erano tornate al Gianicolo per godersi in pace l’ultima ora della notte, quando le ultime automobili sono rientrate in garage e le prime del giorno nuovo non sono ancora uscite.

Alice nella palla

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Alice Cascherina una volta giocava a palla con le sue amiche. Naturalmente era la più piccola di tutte e, naturalmente, a un certo punto della partita, come fu come non fu, cadde dentro la palla. Le amiche la cercarono per un po’, poi se ne stancarono.

– Si vede che è andata a casa senza salutarci – conclusero.

Invece Alice se ne stava raggomitolata dentro la palla, dove tutto era buio e chiamava chiamava, ma nessuno poteva sentirla.

Le bambine gettavano la palla contro il muro, la riprendevano, tornavano a gettarla con una sola mano; insomma facevano un bellissimo gioco …

Una bambina volle gettare la palla più in alto delle altre e la palla finì su un tetto, rotolando sopra le tegole e si fermò nella grondaia.

– Bisogna chiamare Amleto, – gridarono subito le bambine.

Amleto era il garzone del fornaio e toccava sempre a lui recuperare la palla quando le bambine la gettavano sul tetto.

Amleto prese la scala, l’appoggiò al muro, ci salì con eleganza perché sapeva che le bambine lo stavano ammirando, e stava per afferrare la palla quando udì una vocina che gridava:

– Aiuto! … Aiuto!
– Chi è? – domandò Amleto.
– Sono Alice.
– Dove sei? Ti sei nascosta in qualche nido?
– Ma no!… Sono qui, nella palla. Fammi uscire.

Amleto voltò e rivoltò la palla da tutte le parti, ma non vide buchi.

– Ma di dove sei passata per entrare?

Uffa!… Non lo so. Che cosa te ne importa? Prendi piuttosto un chiodo e fammi uscire.

Amleto cavò di tasca il temperino, tagliò la palla, liberò Alice e se la mise nel taschino.

Rimasero molto male le bambine quando Amleto riportò loro la palla tagliata che non rimbalzava più e se la gettavano contro il muro ricadeva a terra con un tonfo sordo.

– Si vede che l’ha beccata un uccellino, – disse Amleto.
– Già; ma doveva essere un’aquila per fare questo taglio – ribatterono le bambine sospettose.

E se ne andarono a casa brontolando.

Allora Alice uscì da taschino di Amleto e corse a casa per rompere il salvadanaio per comprare una palla nuova.

E fortuna che non cascò nel salvadanaio prima di romperlo, altrimenti sarebbe ancora là dentro; oppure, chissà, avrebbero portato anche lei alla Cassa di Risparmio.

Alice nelle figure

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Pioveva. Non si poteva scendere in cortile e la televisione trasmetteva un programma noioso.

Che fare? Alice prese di malavoglia dallo scaffale un vecchio libro di favole illustrate.

Guardò la prima pagina con uno sbadiglio, ma alla seconda pagina era già tutta attenzione, come una lumachina quando caccia le corna.

Alla terza pagina era così interessata che cascò nel libro a capofitto.

La pagina era interamente occupata da un’illustrazione della favola sulla Bella addormentata nel bosco. Aurora dormiva chissà da quanti anni nel grande letto coperto di fiori. 

Intorno a lei dormiva tutto il reame. Soltanto Alice era sveglia e stava seduta sugli stivali del principe Filippo che giungeva a liberare Aurora dall’incantesimo.

Nel cadere dentro il libro però Alice aveva fatto un certo fracasso. La bella addormentata aprì un occhio e con una voce esile domandò:

– È arrivato il principe?
– Sono io, Alice.
– Oh, ma è tutto sbagliato! Io aspetto un principe: mi deve svegliare con un bacio. Tu che c’entri con le favole?

E la bella principessa si mise a singhiozzare con tanta afflizione che Alice, per la confusione, cadde nella pagina di sotto, dove il lupo, infilatosi nel letto della nonna, con la bianca cuffia sulla testa pelosa, aspettava di divorare Cappuccetto Rosso.

– Eccoti, finalmente! – esclamò il lupo digrignando le zanne.
– Calma, calma! – implorò Alice – Io non sono Cappuccetto Rosso. Lei non ha il diritto di mangiarmi.
– Né a pranzo né a cena?
– Ma nemmeno a merenda!
– Ora vedremo – E il lupo si alzò a sedere sui cuscini.

Alice si tuffò in un’altra pagina. Anzi, per la fretta, ne attraversò un centinaio e andò a cadere nell’ultima illustrazione del libro.

– Se t’interrogano – mormorò una voce nelle orecchie – devi rispondere che sei la governante del Marchese di Carabas.
– Io!? del Marchese?…
– Proprio tu. Qui tutto, per mio ordine, appartiene al marchese di Carabas. Quando passa il re cerca di non sbagliarti, perché, altrimenti, sono guai.

Era il Gatto con gli stivali, naturalmente. Tra i baffetti gli volava un sorriso furbo, più svelto di un’ape.

– Ma è una bugia, – protestò Alice – Io non posso dire bugie.
– Nelle favole è permesso – sentenziò il gatto.
– Ma io non appartengo alle favole: io vengo dal mondo delle cose vere!
– Allora tornaci! – esclamò il gatto. E afferratala per la coda di cavallo, la posò fuori del libro.

Alice guardò dalla finestra. La pioggia era cessata: si poteva scendere in cortile a giocare.

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