#IoRestoACasa con i piccoli: scegli tu come finisce la favola
Tutte le fiabe e le favole, quelle brevi e quelle lunghe, quelle che divertono e quelle che fanno un po’ di paura, quelle che fanno sognare e immaginare, tutte, insomma hanno sempre un lieto fine, o, comunque, hanno un finale che conclude bene o male una storia interessante.
Le favole e le storie che qui vi presentiamo sono, invece, particolari, perché di finali non ne hanno uno solo, come le altre: ne hanno più di uno, due o tre.
In questo modo chi le ascolta si diverte di più e alla fine può scegliere il finale che più gli piace.
Ma tutti quelli che ascoltano sceglieranno lo stesso finale? Forse sì, forse no.
Proviamo a raccogliere le scelte per vedere quale finale si adatta meglio alla storia.
Ascoltate, scegliete e cliccate.
Il pifferaio e le automobili
Ascolta qui la favola
C’era una volta un pifferaio magico.
È una storia vecchia, la sanno tutti. Parla di una città invasa dai topi e di un giovanotto che, con il suo piffero incantato, porta tutti i topi ad annegare nel fiume. Poi il sindaco non lo volle pagare e lui ricominciò a suonare il piffero e si portò via tutti i bambini della città.
Anche questa storia parla di un pifferaio: forse è lo stesso, forse no.
C’era, questa volta, una città invasa dalle automobili.
Ce n’erano nelle strade, sui marciapiedi, nelle piazze, sotto i portoni.
C’erano automobili dappertutto: piccoline come scatolette, lunghe come bastimenti, con il rimorchio, con la roulotte. C’erano automobili, autotreni, furgoni, furgoncini.
Ce n’erano tante che si muovevano a fatica, urtandosi, fracassandosi i parafanghi, schiacciandosi i paraurti, strappandosi le marmitte. E finalmente ce ne furono tante che non ebbero più lo spazio per muoversi e rimasero ferme. Così la gente doveva andare a piedi.
Ma non era tanto facile, con le macchine che occupavano tutto il posto disponibile. Bisognava aggirarle, scavalcarle, passarci sotto. E dalla mattina alla sera si sentiva: – Ahi! Questo era un pedone che aveva battuto la testa contro un cofano.
– Ahio! Ahia!
Questi erano due pedoni che si erano scontrati strisciando sotto un camion. La gente, si capisce, diventava matta dalla rabbia.
– È ora di finirla!
– Bisogna fare qualcosa!
– Perché il sindaco non ci pensa?
Il sindaco sentiva quelle proteste e borbottava: – Per pensarci, ci penso. Ci penso giorno e notte. Ci ho pensato anche tutto il giorno di Natale. Il fatto è che non mi viene in mente nulla. Non so che cosa fare, che cosa dire e che pesci pigliare.
E la mia testa non è più dura delle altre. Guardate che cerotto.
Un giorno si presentò in Comune uno strano giovanotto.
Portava una giacca di pelle di pecora, le cioce ai piedi, un berretto a cono con un gran nastro. Insomma, pareva proprio uno zampognaro. Uno zampognaro senza zampogna, però. Quando chiese di essere ricevuto dal sindaco, la guardia gli rispose seccamente:
– Lascialo tranquillo, non ha voglia di ascoltare serenate.
– Ma io non ho la zampogna.
– Peggio che mai. Se non hai nemmeno una zampogna, perché mai il sindaco dovrebbe riceverti?
– Ditegli che io so come liberare la città dalle automobili.
– Cosa? cosa? Senti, gira al largo, che qui certi scherzi non vanno.
– Annunciatemi al sindaco, vi assicuro che non ve ne pentirete…
Tanto disse e tanto fece che la guardia dovette accompagnarlo dal sindaco.
– Buongiorno, signor sindaco.
– Eh, si fa presto a dire buongiorno. Per me sarà un buon giorno solamente quello in cui… la città sarà liberata dalle automobili.
– E io conosco il sistema.
– Tu? E chi te lo ha insegnato? Una capra?
– Chi me lo ha insegnato non importa. A lasciarmi fare una prova non ci perdete niente. E se voi mi promettete una certa cosa, entro domattina non avrete più grattacapi.
– Sentiamo, che cosa ti dovrei promettere?
– Che da domani in poi in piazza grande ci potranno giocare sempre i bambini, e ci saranno per loro giostre, altalene, scivoli, palle di gomma e aquiloni.
– In piazza grande?
– In piazza grande.
– E non vuoi altro?
– Niente altro.
– Allora, qua la mano. Promesso. Quando cominci?
– Subito, signor sindaco…
– Dai, non perdere un minuto.
Lo strano giovanotto non perdette nemmeno un secondo. Si mise una mano in tasca e ne cavò un piccolo zufolo, intagliato in un ramo di gelso. E addirittura lì, nell’ufficio del sindaco, cominciò a suonare una bizzarra cantilena. E uscì suonando dal palazzo del Comune, attraversò la piazza, si avviò verso il fiume…
Di lì a un momento …
– Guardate! Che fa quella macchina? Si è messa in moto da sola! – Anche quell’altra!
– Ehi! Ma quella è la mia! Chi è che mi ruba la macchina?
Al ladro! Al ladro! – Ma non c’è nessun ladro, non vede?
Tutte le automobili si sono messe in moto…
– Prendono velocità… corrono… – Chi sa dove vanno?
– La mia macchina! Ferma, ferma! Voglio la mia macchina! – Provi a metterle un pizzico di sale sulla coda… Da ogni punto della città le macchine correvano, in un frastuono inaudito di motori, scappamenti, trombe, sirene, clacson… Correvano, correvano da sole.
A fare bene attenzione, però, si sarebbe sentito sotto il frastuono, eppure più forte, più resistente del frastuono, il fischio sottile del piffero, la sua bizzarra, bizzarra cantilena…
Come finisce la favola?
Finale 1
Le automobili correvano verso il fiume.
Il pifferaio, senza mai smettere di suonare, le aspettava sul ponte. Quando arrivò la prima macchina – che per combinazione era proprio quella del sindaco – cambiò appena la melodia, aggiunse una nota più alta. Come per un segnale, il ponte crollò e l’automobile si tuffò nel fiume e la corrente la portò lontano. E giù la seconda, giù anche la terza, giù tutte le automobili, una dopo l’altra, a due a due, a grappoli, sprofondavano con un ultimo ruggito del motore, un rantolo della tromba, e la corrente le portava via.
Nelle strade di dove erano scomparse le automobili scendevano i bambini, trionfanti, con i loro palloni, le bambine con le bambole nelle carrozzelle, prendevano a scorrazzare tricicli e biciclette, passeggiavano sorridendo le balie. Ma la gente si metteva le mani nei capelli, telefonava ai pompieri, protestava con i vigili urbani. – E voi lasciate fare quel matto? Ma fermatelo, perdinci, fate tacere quel maledetto pifferaio. – Tuffate un po’ lui, nel fiume, col suo piffero… – Anche il sindaco è diventato matto! Far distruggere tutte le nostre belle automobili!
– Con quello che costano!
– Con quello che costa il burro!
– Abbasso il sindaco! Dimissioni! – Abbasso il pifferaio!
– Io rivoglio la mia macchina!
I più audaci si scagliarono addosso al pifferaio, ma si fermarono prima di poterlo toccare. Nell’aria, invisibile, c’era come un muro a difenderlo e contro quel muro gli audaci picchiavano invano con i pugni ed i calci. Il pifferaio aspettò che l’ultima macchina si fosse tuffata nel fiume, poi ci si tuffò anche lui, raggiunse a nuoto l’altra riva, fece un inchino, si voltò e disparve nel bosco.
Finale 2
Le automobili corsero al fiume e l’una dopo l’altra vi si tuffarono, con un ultimo gemito del claxon. L’ultima a tuffarsi fu la macchina del sindaco.
A quell’ora già la piazza grande era gremita di bambini che giocavano e le loro grida festose coprivano i lamenti dei cittadini che avevano visto le loro macchine sparire lontano, trascinate dalla corrente. Il pifferaio, finalmente, smise di suonare, sollevò gli occhi, e soltanto allora vide la folla minacciosa che marciava su di lui, e il signor sindaco che marciava davanti alla folla.
– E’ contento, signor sindaco?
– Adesso te la do io la contentezza! Ti pare di aver fatto una bella cosa? Non sai quanto lavoro e quanto denaro costa un’automobile? Bel modo, di liberare la città…
– Ma io… ma voi…
– Ma tu un bel niente, tu. Tu adesso, se non vuoi passare il resto dei tuoi giorni in prigione, ti attacchi al piffero e fai uscire le automobili dal fiume. E bada che le rivoglio tutte, dalla prima all’ultima. – Bravo! Bene! Viva il signor sindaco!
Il pifferaio obbedì. Obbedienti al suono del suo strumento magico le automobili tornarono a riva, corsero nelle strade e nelle piazze a occupare il posto che occupavano prima, cacciando i bambini, i palloni, i tricicli, le balie. Insomma, tutto tornò come prima. Il pifferaio si allontanò lentamente, pieno di tristezza, e di lui non si è mai più sentito parlare.
Finale 3
Le automobili correvano, correvano… . Verso il fiume, come i topi di Hammelin? Macchè! Correvano, correvano… . E a un certo punto non ce ne fu più nemmeno una, in città, non una sola in piazza grande, vuoto il corso, liberi i viali, deserte le piazzette. Dov’erano scomparse?
Tendete l’orecchio e le sentirete. Ora corrono sotto terra. Il suo piffero magico quel bizzarro giovanotto ha scavato delle strade sotterranee sotto le strade, e delle piazze sotto le piazze. Laggiù corrono le macchine.
Si fermano, per prendere a bordo il loro proprietario, e ripigliano la corsa. Adesso c’è posto per tutti.
Sotto terra, per le automobili. Sopra, per i cittadini che vogliono passeggiare parlando del governo, del campionato e della Luna, per i ragazzi che vogliono giocare, per le donne che vanno a fare la spesa.
– Che stupido, – gridava il sindaco, pieno d’entusiasmo, – che stupido sono stato a non averci pensato prima!
Al pifferaio, poi, in quella città hanno fatto un monumento.
Anzi, due. Uno in piazza grande e uno sotto, tra le macchine che corrono instancabili nelle loro gallerie.
Il tamburino magico
Ascolta la favola
C’era una volta un tamburino che tornava dalla guerra. Era povero, aveva soltanto il suo tamburo, ma era contento lo stesso perché tornava a casa dopo tanti anni.
Lo si sentiva suonare di lontano: barabàn, barabàn, barabàn…
Cammina e cammina, incontra una vecchietta. – Bel soldatino, me lo dai un soldo? – Te ne darei anche due, nonnetta, anche una dozzina, se ne avessi. Ma proprio non ne ho.
– Sei sicuro?
– Ho cercato nelle tasche tutta la mattina e non ho trovato nulla. – Guardaci ancora, guardaci bene.
– Nelle tasche? Guarderò, giusto per farti contenta. Ma sono certo che… Toh, e questo che cos’è?
– Un soldo. Hai visto che ce l’avevi?
– Ti giuro che non lo sapevo. Che bellezza! Tieni, te lo dò volentieri perché devi averne più bisogno di me.
– Grazie, soldatino, – dice la vecchietta, – e io ti darò qualcosa in cambio.
– Davvero? Ma io non voglio niente.
– Sì, voglio darti una piccola magia. E sarà questa: ogni volta che il tuo tamburo rullerà, tutti dovranno ballare.
– Grazie, nonnetta. E’ proprio una magia con i fiocchi.
– Aspetta, non è finita: tutti balleranno, e non potranno fermarsi se tu non smetterai di suonare.
– Benone! Non so ancora che cosa me ne farò, di questa magia, ma sento che mi sarà utile.
– Ti sarà utilissima. – Addio, soldatino.
– Addio, nonnetta.
E il soldatino si rimette in cammino per tornare a casa. Cammina, cammina… .
A un tratto dalla foresta saltano fuori tre briganti.
– O la borsa o la vita!
– Per carità, accomodatevi, prendete pure la borsa. Ma vi avverto che è vuota.
– Mani in alto o sei morto!
– Obbedisco, obbedisco, signori briganti.
– Dove tieni i soldi?
– Io, per me, li terrei anche nel cappello.
I briganti guardano nel cappello: non c’è niente.
– Io, per me, li terrei anche in un orecchio.
Guardano nell’orecchio: niente di niente.
– Vi dico che li terrei anche sulla punta del naso, se ne avessi.
I briganti guardano, cercano, frugano. Naturalmente non trovano nemmeno un centesimo di ferro.
– Sei proprio un pezzente, – dice il capo brigante. – Pazienza. Ti prenderemo il tamburo per fare un po’ di musica.
– Prendetelo pure, – sospira il soldatino, – mi dispiace separarmene, perché mi ha fatto compagnia per tanti anni. Ma se proprio lo volete… .
– Lo vogliamo.
– Mi lascereste fare una suonatina, prima di portarmelo via? Così vi insegno come si fa, eh?
– Ma sì, facci una suonatina.
– Ecco, ecco, – dice il tamburino, – io faccio la suonatina. E voi… (barabàn, barabàn, barabàn!) e voi ballate!
E bisognava vederli ballare quei tre tipacci. Parevano tre orsi alla fiera.
In principio ci si divertivano, ridevano e scherzavano. -Forza, tamburino! Sotto con il valzer!
– Ora la polka, tamburino!
– Avanti con la mazurka!
Dopo un po’ cominciano a soffiare. Provano a fermarsi e non ci riescono. Sono stanchi, hanno il fiatone, gli gira la testa, ma la magia del tamburo li costringe a ballare, ballare, ballare…
– Aiuto!
– Ballate!
– Pietà!
– Ballate!
– Misericordia!
– Ballate, ballate!
– Basta, basta!
– Posso tenermi il tamburo?
– Tienilo… Non vogliamo saperne di stregonerie…
– Tutto quello che vuoi, basta che tu smetta di suonare. Ma il tamburino, per prudenza, smise solo quando li vide cascare per terra senza forze e senza respiro.
– Ecco, così non potrete corrermi dietro!
E lui, via a gambe.
Ogni tanto, per precauzione, dava qualche colpetto al tamburo. E subito si mettevano a ballare le lepri nelle loro tane, gli scoiattoli sui rami, le civette nei nidi, costrette a svegliarsi in pieno giorno…
E via e via, camminava e correva, il bravo tamburino, per tornare a casa sua…
Come finisce la favola?
Finale 1
Cammina e cammina, il tamburino comincia a pensare: “Questa magia sarà la mia fortuna. In fondo, con quei briganti, sono stato stupido. Potevo farmi consegnare i loro quattrini. Quasi quasi, torno a cercarli… “.
E già si voltava per tornare sui suoi passi, quando vide comparire in fondo al sentiero una diligenza.
-Ecco qualcosa che fa per me.
I cavalli, trottando, facevano squillare le sonagliere. Il postiglione, a cassetta, fischiettava allegramente una canzone:
Accanto a lui sedeva un gendarme armato.
– Salve, tamburino. Vuoi salire?
– No, sto bene qui.
– Allora togliti dalla strada perché dobbiamo passare.
– Un momento. Fate prima un balletto.
Barabàn, barabàn… Il tamburo comincia a rullare. I cavalli si mettono a ballare. Il postiglione balza in piedi e attacca a dimenare le gambe. Balla il gendarme, lasciando cadere il fucile.
Ballano i passeggeri.
Bisogna sapere che quella diligenza trasportava l’oro di una banca. Tre casse piene d’oro. Saranno stati un trecento chili. Il tamburino, continuando a suonare il tamburo con una mano, con l’altra fa cadere le casse sul sentiero, le spinge con i piedi dietro un cespuglio.
– Ballate! Ballate!
– Basta così! Non ne possiamo più!
– Allora via, di gran carriera, e senza voltarvi indietro…
La diligenza riparte senza il suo carico prezioso. Il tamburino, eccolo ricco a milioni… Ora può costruirsi una villa, vivere di rendita, sposare la figlia di un commendatore. E quando gli servono soldi, non ha bisogno di andare in banca: gli basta il suo tamburo.
Finale 2
Cammina e cammina, il tamburino vede un cacciatore che sta per sparare a un tordo. Barabàn, barabàn… Il cacciatore lascia cadere la carabina e comincia a ballare. Il tordo scappa.
– Disgraziato! Me la pagherai!
– Per intanto, balla. E se mi dai retta, non sparare mai più agli uccellini.
Cammina e cammina, vede un contadino che sta bastonando il suo asino.
– Balla!
– Aiuto!
– Balla! Smetterò di suonare solo se mi giuri che non picchierai mai più il tuo asino.
– Lo giuro!
Cammina e cammina, il generoso soldatino mette mano al suo tamburo ogni volta che si tratta di impedire una prepotenza, un’ingiustizia, un sopruso. E di prepotenze ne trova tante che non riesce più a tornare a casa. Ma è contento lo stesso e pensa:
“La mia casa sarà dove posso fare del bene con il mio tamburo”.
Finale 3
Cammina e cammina…
Mentre cammina il tamburino riflette: “Strano tamburo e strana magia.
Vorrei proprio capire come funziona l’incantesimo”.
Guarda le bacchette, le rivolta da tutte le parti: sembrano due normali bastoncini di legno.
– Forse il segreto è dentro, sotto la pelle del tamburo! Il soldatino fa col coltello un piccolo buco nella pelle. – Darò un’occhiata, – dice.
Dentro, non c’è niente di niente.
– Pazienza, mi terrò il tamburo com’è. E riprende la sua strada, battendo allegramente le bacchette. Ma ora le lepri, gli scoiattoli, gli uccelli sui rami non ballano più al suono del tamburo.
Le civette non si svegliano.
– Barabàn, barabàn: …
Il suono sembra lo stesso, ma la magia non funziona più. Ci credereste?
Il tamburino è più contento così.
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