Il 2018 della scuola, dalla Q alla Z

Q

Quizzone
(giugno) Il 24 giugno 2018, dopo 20 anni di onorata, ancorché ansiogena carriera (aveva esordito nel 1999),va in pensione il ‘quizzone’, la Terza Prova scritta introdotta nel nuovo Esame di Stato, riformato nel 1997 dall’allora ministro Luigi Berlinguer. Dal 2019 si tornerà alle classiche due prove scritte, quella di italiano e quella caratterizzante dei diversi indirizzi di studio.
Sarà rimpianta la ‘terza prova’? Un sondaggio realizzato da Skuola.net su 1500 candidati della maturità 2018 fa pensare di no.
Il ‘quizzone’ è sempre stato vissuto come un’incognita sia dagli studenti che dai loro insegnanti: per questo circa 3 ragazzi su 5 avrebbero ricevuto informazioni ‘riservate’ dai professori sulle materie oggetto della prova. Un ‘aiutino’, insomma.
Nel 2017 del resto – secondo lo stesso sondaggio – la terza prova era stata la più copiata, da circa il 32% degli studenti intervistati.

R

Reggenze
(agosto) – Nel corso di un’audizione in Parlamento il ministro Bussetti annuncia la modifica del corso-concorso DS in atto, per scongiurare nuove reggenze per l’anno scolastico 2019-20. 
La modifica consisterebbe nell’annullare la fase di formazione e tirocinio dopo la prova orale. In tal modo si tornerebbe all’antico, come da tempo aveva proposto il responsabile scuola della Lega, Mario Pittoni.
La proposta di riduzione dei tempi del concorso tarda ad arrivare e si teme che non se faccia nulla in tempo utile per scongiurare un nuovo anno di reggenze.
Poco prima di Natale il Governo approva finalmente il decreto legge ‘semplificazioni’ che prevede la conclusione del concorso con la prova orale.
Nella relazione tecnica che accompagna il decreto legge si precisa che Nell’anno scolastico 2018/19 sono 1.536 i posti di dirigente scolastico vacanti e disponibili.  Nel 2017/18 le reggenze assegnate sono state 1.748, tenendo conto anche di scuole sottodimensionate e dei distacchi (comandi) presso altre amministrazioni o sindacati.”
Se si considera che sono 352 le istituzioni sottodimensionate che per legge devono essere assegnate in reggenza e che sono non meno di 80 i dirigenti scolastici distaccati presso altre amministrazioni o sindacati, si può stimare che attualmente le reggenze siano circa 1.970.
Senza la modifica, nel 2019-20 le reggenze sarebbero state più di 2.300.

S

Sovranismo psichico
(dicembre) – Il 52° Rapporto Censis chiama “sovranismo psichico” il mix di cattiveria, paura e incertezza che serpeggia nella società italiana.  Anche la scuola è stata investita da questo fenomeno, come mostra il forte aumento dei casi di contestazione violenta dell’autorità e del ruolo degli insegnanti, documentato da Tuttoscuola anche con la predisposizione di un apposito contatore. Per alcuni genitori la scuola e gli insegnanti sono diventati non i certificatori ma la causa dell’insuccesso scolastico, meritevoli perciò di essere puniti e colpiti anche fisicamente. “Prima mio figlio” sembra essere la parola d’ordine di questi genitori, che non avvertono alcun rispetto per l’istituzione scuola e i suoi operatori.
I sindacati degli insegnanti attribuiscono la responsabilità di questa caduta dell’autorità della scuola alla “disintermediazione operata nel corso degli ultimi anni”, ma la disintermediazione, segnala il rapporto Censis, è un fenomeno più complessivo, favorito dalla rivoluzione digitale, che tende a contestare il ruolo e l’autorità di tutti i corpi intermedi, compresi i partiti tradizionali e i sindacati, per arrivare alle detestate élites economiche e anche accademiche, come si è visto nella vexata quaestio dei vaccini.

Stabilizzazione del sostegno
(settembre) – Nel nuovo anno scolastico si accentua il divario tra posti di sostegno stabilizzati in organico di diritto e posti in deroga. Sono quasi 166 mila i posti di sostegno complessivamente attivati nel 2018-19.
Si tratta di una quantità considerevole in costante aumento soprattutto per effetto del contestuale incremento del numero di alunni con disabilità inseriti.
Nella media nazionale i posti di sostegno in organico di diritto (100.066) rispetto a quelli funzionanti di fatto (165.970) sono pari al 60,3%: circa due posti su cinque, dunque, sono precari, assegnati a docenti con contratto a tempo determinato fino al 30 giugno, con ciò che ne consegue anche in termini di discontinuità didattica.

T

Tempo pieno
(novembre) – Il vice premier Luigi Di Maio afferma in una diretta Facebook che “in tutte le scuole elementari italiane ci sarà il tempo pieno. Significa che i bambini potranno stare più tempo a scuola, potranno avere un percorso di istruzione più lungo, che gli consenta di stare più con gli insegnanti e di approfondire ancora di più le materie, e allo stesso tempo permetterà ai genitori che lavorano tutto il giorno di sapere che anche il pomeriggio il loro figlio o la loro figlia starà a scuola con gli insegnanti, avrà un percorso formativo ancora più ricco”.
 “Il tempo pieno a scuola – aggiunge Di Maio – è (…) una misura importante per gli insegnanti, perché si sbloccano 2.000 nuovi posti di lavoro nella scuola”.
2.000 posti per portare il tempo pieno in tutte le classi di scuola primaria italiane? Ma ce ne vorrebbero venti volte di più! Mediamente nelle classi non a tempo pieno della scuola primaria operano su ogni classe 1,5 docenti. Invece nelle classi a tempo pieno i docenti sono due. Quindi per trasformare a tempo pieno tutte le 86.658 classi aperte oggi solo al mattino occorrerebbe aggiungere una mezza unità di personale a classe. Parliamo di 43.329 docenti. Non di 2.000. Il costo complessivo – includendo l’approntamento dei servizi necessari – sarebbe, secondo i calcoli di Tuttoscuola, di 3 miliardi e mezzo di euro per il primo anno e di 2,7 miliardi l’anno a regime.
L’emendamento pentastellato prevede per il solo 2019 una prima quota di 2mila posti (pari a 4 mila classi, di cui 1.200 al Sud): iniziativa meritoria, ma a questo ritmo per generalizzare il tempo pieno occorrerebbero 21 anni. 
Anche il comico Crozza in Tv, prendendo spunto dai dati di Tuttoscuola, ironizza sull’uscita di Di Maio.
La domanda è: il vicepremier ignorava questi dati o intendeva deliberatamente far passare una cosa per un’altra?

U

Università
(ottobre) “Nella legge di Bilancio non ci sarà un solo centesimo tagliato al mondo della scuola né a quello dell’università, neanche un centesimo sarà decurtato per gli stipendi dei docenti”. Parola del vicepresidente Luigi De Maio.
Ma intanto il decreto fiscale (DL n. 119/2018), pubblicato sulla G.U. del 23 ottobre subito dopo le aspre polemiche interne al Governo sulla ‘manina’ altoburocratica che avrebbe “remato contro”, anticipa alcuni interventi che meritano un approfondimento per verificare l’attendibilità di questa affermazione.
Nell’allegato al decreto (Elenco 1), sono elencate, ministero per ministero, le riduzioni ai rispettivi bilanci per circa 590 milioni complessivi di euro. E in questa sforbiciata alle spese anche il Miur deve fare la sua parte.
Vengono ridotte infatti le spese per complessivi 29 milioni, di cui 14 milioni all’istruzione scolastica e 15 milioni all’istruzione universitaria e formazione post-universitaria.
La Legge di bilancio approvata in extremis il 30 dicembre riequilibra un po’ i conti per il 2019, rinviando i tagli più consistenti al 2020 e al 2021. Per l’Università anzi, sostiene il ministro Bussetti commentando la legge appena approvata, “è prevista l’assunzione di circa 1.500 ricercatori di tipo b, che sarà disposta in deroga al blocco delle assunzioni. Così come non ci sarà alcun blocco alle progressioni di carriera di chi fa ricerca negli atenei, né per scuole e AFAM. Abbiamo voluto e ottenuto un’attenzione particolare su questo punto. Così come abbiamo ottenuto maggiori assunzioni per gli atenei. È una svolta: dobbiamo tornare ad assumere di più nelle università”.

V

Videocamere
(novembre) – L’ennesimo episodio di violenze fisiche e verbali su bambini di una scuola dell’infanzia contribuirà a dare impulso al disegno di legge che prevede l’installazione di telecamere nei nidi d’infanzia, nelle sezioni di scuole dell’infanzia, nonché nelle strutture che ospitano anziani e persone disabili.
In Parlamento sembra ormai superata (o quanto meno messa in minoranza) la resistenza di chi vede in questa operazione la violazione della privacy e soprattutto il rischio di un controllo improprio da parte dei genitori.
Il via libera della Camera alla proposta di legge presentata da Forza Italia è avvenuto con 404 voti a favore e 110 astensioni, senza voti contrari.
Al Senato si attende ora l’ok definitivo.
Le registrazioni effettuate dovranno rimanere secretate, diventando visibili solamente a seguito di indagini ufficiali. “Nelle strutture … possono essere installati sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso, le cui immagini sono criptate e conservate per sei mesi, decorrenti dalla data della registrazione, all’interno di un server dedicato, appositamente installato nella struttura, con modalità atte a garantire la sicurezza dei dati trattati e la loro protezione da accessi abusivi.  L’accesso alle registrazioni dei sistemi di cui al comma 1 è vietato, salva la loro acquisizione, su iniziativa della polizia giudiziaria o del pubblico ministero, come prova documentale nel procedimento penale”.
I sistemi di videosorveglianza possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria. Inoltre il Ministro dell’istruzione dovrà stabilire le modalità per assicurare la partecipazione delle famiglie alle decisioni relative all’installazione e all’attivazione dei sistemi di videosorveglianza nei servizi educativi per l’infanzia e nelle scuole dell’infanzia.
È previsto uno stanziamento annuale di 5 milioni di euro per l’avvio sperimentale della legge.
Tuttoscuola ha stimato che occorrono non meno di 65 milioni di euro per installare gli impianti di videosorveglianza in tutte le scuole dell’infanzia. È lecito chiedersi: ma davvero è questa la vera soluzione del problema?

Violenza verso i docenti
(giugno) – L’anno scolastico 2017-18 si chiude con l’ennesima aggressione a un docente per mano di un genitore scontento della valutazione finale attribuita al figlio.
Avviene in provincia di Padova dove la madre di alunno di scuola media, insoddisfatta del voto insufficiente che la professoressa di inglese aveva attribuito al figlio, l’affronta nel cortile della scuola prima delle lezioni e, dopo un’accesa discussione, le sferra con violenza uno schiaffo, facendola cadere a terra.
Questa di Padova è la 33.ma aggressione subita da un insegnante nel corso di questo anno scolastico.
È la punta di un iceberg di un fenomeno che solamente in parte emerge pubblicamente con notizie di stampa o sul web; si stima che all’interno delle scuole il numero delle aggressioni, soprattutto da parte di studenti, sia almeno il triplo di quanto emerge all’esterno.
Quasi la metà (esattamente 15 su 33) delle aggressioni note è stata opera di genitori, come documentato da Tuttoscuola che ha attivato uno sgradevole contatore di questo fenomeno.
«Non possiamo ignorare che qualcosa si è inceppato», spiega il presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’inaugurazione dell’anno scolastico davanti a mille studenti a Porto Ferraio, all’isola d’Elba.
«Qualche tessuto è stato lacerato nella società. Il genitore-bullo non è meno distruttivo dello studente-bullo, il cui rifiuto cresce sempre di più nell’animo degli studenti, a scuola e nel web», avverte il presidente della Repubblica.

W

Webinar
(da gennaio a dicembre) – Come nel 2017 (e anche di più) ottengono grande successo i webinar di Tuttoscuola, lo strumento video che in diretta illustra e approfondisce le principali tematiche sul mondo della scuola.
Nel corso dell’anno i webinar hanno riguardato molte tematiche e, in particolare, il concorso DS con preparazione alla prova di preselezione e alla prova scritta.
Attualmente è in corso anche una fase di avvicinamento alla prova orale, seguita da moltissimi candidati, per la quale sono aperte le iscrizioni (https://www.tuttoscuola.com/prodotto/concorso-ds-verso-la-prova-orale-fase-a-10-webinar/ ).
Esperti e specialisti presentano nell’arco di un’ora e mezzo o due gli argomenti del giorno, li approfondiscono e orientano i video-ascoltatori verso nuove esperienze formative.
Rispondono a quesiti, suggeriscono percorsi di ricerca e linee operative, avvalendosi anche di slides e altri materiali. Con notevoli apprezzamenti e consensi da parte dei partecipanti.

Z

Zunino
(giugno) Corrado Zunino, una delle firme di punta di Repubblica, intervista il neoministro Marco Bussetti cercando di strappargli una notizia con la quale titolare il pezzo, qualcosa insomma che possa catturare l’attenzione del lettore. Impresa ardua, malgrado il fuoco di fila delle domande (ben 26 alla fine). Il tratto distintivo dell’homo novus giunto a sorpresa alla guida del Miur è la prudenza.
Così, al giornalista che cercava di strappargli qualcosa di sorprendente, di inatteso, o almeno di stuzzicante, il ministro dà sistematicamente risposte diplomatiche, a mezze tinte. L’eliminazione della chiamata diretta? “Era un impegno del contratto di governo”. La mobilità Nord-Sud degli insegnanti? “Dal 2019 i concorsi si faranno su base regionale”. E se poi i vincitori chiedono subito il trasferimento? “Metteremo vincoli”. Per esempio almeno tre anni sulla stessa cattedra? provoca Zunino. “Si può ragionare su questo periodo”. Il decreto per le maestre diplomate? “Rispetteremo la sentenza del Consiglio di Stato che le toglie dalle graduatorie a esaurimento, ma andremo incontro alle aspettative di tutte le maestre interessate. Diplomate, laureate”. Porrà fine al precariato? “Il precariato non scomparirà, ci sarà sempre bisogno di un serbatoio di supplenti”. E così via.
Il giornalista a questo punto cerca di rivolgere al ministro Bussetti domande che lo inducano a sbilanciarsi almeno un po’. Quanto dovrebbe guadagnare in più un insegnante di una scuola media? “Sulle retribuzioni dobbiamo recuperare gli anni persi, ma non possiamo nascondere la difficile situazione delle finanze pubbliche”. Per le scuole paritarie il Governo Renzi ha già previsto sgravi fiscali sensibili, propone Zunino. E voi? “La libertà di educazione è un valore, le scuole paritarie svolgono un ruolo complementare importantissimo. Limitare finanziamenti creerebbe nuovi costi e impoverirebbe l’offerta formativa del nostro Paese”. Insomma si lasciano le cose come stanno.
Esausto, il giornalista prova con domande più personalizzate. Che ministra è stata Valeria Fedeli? “Ha portato avanti le sue idee in modo appassionato e coerente”. E Stefania Giannini? “Ha portato avanti una riforma in condizioni molto difficili con un fuoco amico che ha danneggiato lei e la stessa Buona scuola”.
Niente da fare. Alla fine il giornalista si rassegna. Tanto che finisce per intitolare l’intervista con quella che gli è sembrata la dichiarazione più audace tra quelle rilasciate da Marco Bussetti: “La Buona Scuola non è tutta da buttare”.

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