Galli Della Loggia: studenti colpiti da ‘balbuzie twittesca’? Colpa di De Mauro. Ecco perché non è così

L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera (7 febbraio 2017), intitolato in prima pagina “Le ragioni di una disfatta” (e nella versione online “Il ribaltamento pedagogico che rovina la nostra lingua”), ha posto una questione giusta in modo secondo me sbagliato: la questione giusta è quella del “pessimo stato della conoscenza della lingua italiana riscontrabile nella grande maggioranza degli studenti, e appena denunciata da alcune centinaia di docenti universitari” (il riferimento è all’iniziativa del ‘Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità’, che ha raccolto le firme).

Il modo sbagliato di affrontare la questione, da parte di Galli, è quello di aver individuato in Tullio De Mauro il responsabile lontano della “balbuzie twittesca” dei giovani delle ultime generazioni.  Il mite e razionale De Mauro, attento analista delle mutazioni linguistiche, fu in realtà, secondo Galli,  “travolto dal radicalismo politico-ideologico dell’epoca” (gli anni settanta dello scorso secolo), “un radicalismo che lo portò a sostenere sulla materia di cui si sta dicendo opinioni devastanti e destinate a non restare certo senza effetto dal momento che si sposavano con l’aria dei tempi e perché proprio l’autorevolezza dello studioso che le faceva proprie valeva ad assicurare loro una larghissima diffusione”.

Quali sarebbero le “opinioni devastanti” di De Mauro? Per esempio (citato da Galli) quella di aver rivendicato “la dignità dell’inventività, dell’informale, rispetto all’ossequio agli stilemi della lingua scritta e di aver così indotto generazioni di insegnanti a realizzare “un ribaltamento in senso democratico della pedagogia linguistica tradizionale” abbassando la guardia sulla grammatica e sulla correttezza ortografica.

De Mauro, per la verità, è stato soprattutto un osservatore e un interprete dell’evoluzione della lingua, che cambiava non certo per incitamento di un pur autorevole professore di linguistica generale ma a seguito di fenomeni come il ricambio generazionale, l’evoluzione tecnologica, i nuovi linguaggi veicolati dalla TV e dai mass media, le contaminazioni linguistiche internazionali, le dinamiche socio-culturali indotte dall’emergere di nuovi modelli di convivenza (i diritti civili, il femminismo, l’immigrazione, il multiculturalismo) e di nuove forme di organizzazione del lavoro, la globalizzazione delle economie, i social networks.

De Mauro ha studiato l’interazione tra questi fenomeni e il progressivo mutamento della lingua. Avrebbe dovuto opporsi ai mutamenti linguistici anziché studiarli? E in nome di che cosa: dell’ossequio agli “stilemi della lingua scritta”, come Galli gli rimprovera di non aver fatto? Certo, se lo avesse fatto avrebbe forse contribuito a salvaguardare l’identità italiana, almeno quella linguistica – un tema caro a Galli della Loggia, che ad esso ha dedicato la sua attività di storico e anche di editorialista. De Mauro ha invece preferito cercare di capire come e perché la lingua cambiava, senza fare della grammatica zoppicante e della incerta ortografia degli studenti della scuola di massa (ben diversi dalle élites della scuola gentiliana) un dramma esistenziale.

Il vero problema, la questione di fondo della quale ci si dovrebbe preoccupare, non è quella del rispetto formale della grammatica e dell’ortografia ma quella della chiarezza, completezza e coerenza logica della comunicazione, sia scritta che orale. Delle sgrammaticature e degli errori ortografici, che ovviamente vanno identificati e segnalati a chi li commette, ci si dovrebbe però a mio avviso preoccupare seriamente solo quando essi sono il sintomo di un pensiero confuso, impreciso, contraddittorio. Quando alla forma approssimativa corrisponde un contenuto altrettanto vago, inesatto, superficiale.

Il compito primario della scuola del nostro tempo, di una scuola democratica nel senso di aperta a tutti e attenta a tutti, è quello di privilegiare la significatività e l’efficacia della comunicazione, non la sua correttezza formale. Se c’è anche questa, ovviamente, tanto meglio. Ma non bisogna commettere l’errore di considerarla il primary task dell’educazione linguistica del XXI secolo.