Prove Invalsi/3. Definiranno le scuole ottime e quelle pessime?

Non solo le prove Invalsi non verificano le competenze degli allievi, ma per il modo con cui sono state formulate rischiano di non servire nemmeno per far confrontare i docenti con il problema di una cultura della valutazione che, mentre aumenta la qualità degli apprendimenti e premia il merito, non per questo indulge a derive selettive o lassiste.
In coerenza con la direttiva del ministro, i tecnici dell’Invalsi hanno preso, infatti, alcuni obiettivi specifici di apprendimento (conoscenze ed abilità) presenti nelle Indicazioni nazionali per italiano, matematica e scienze, hanno definito i livelli standard di prestazione attesi rispetto ad essi, hanno formulato i quesiti con in mente tali standard di apprendimento attesi e li hanno distribuiti a tutte le scuole. Tra qualche mese, se le prove si sono svolte correttamente (sembra che in molte scuole ciò non sia accaduto e che il fenomeno anche di gravi violazioni delle regole di somministrazione sia stato addirittura rivendicato in numerosi siti informatici sindacali e parasindacali), si saprà quanti ragazzi hanno raggiunto la prestazione attesa dai tecnici dell’Invalsi che hanno formulato i quesiti. Avremo davvero graduatorie di bravura dei ragazzi e magari, attraverso esse, si suggerirà che le scuole nelle quali i ragazzi non raggiungono gli standard Invalsi sono pessime, mentre sarebbero ottime quelle che li raggiungono?