
Vita spericolata tra campi rom e marginalità: bimbi allo sbaraglio. E la scuola?

Da sempre la scuola cerca di mettere in pratica quel che insegna la Costituzione. La carta della nostra cultura, della nostra identità, delle nostre radici. Unico punto fermo che ci consente di fare sintesi armoniosa di sistemi di vita diversi.
Non voglio scomodare Don Milani, ma in realtà siamo messi peggio di allora perché con più strumenti e più soldi riusciamo a fare molto meno. Sono all’ordine del giorno le continue segnalazioni che i dirigenti scolastici fanno per inadempienza all’obbligo scolastico. A partire dalla prima primaria (sei anni) o poco dopo e fino alla terza media segnaliamo che gli studenti non vengono o vengono molto poco, che non hanno nessuno in grado di aiutarli a recuperare e compensare quelle mancanze che hanno perché immersi in un contesto di deprivazione e disagio importante.
Bambini che arrivano a scuola con la bottiglia di vino rubata al padre alcolista, bambini con i segni sulla schiena perché picchiati durante un litigio tra genitori, bimbi che se anche non tornano a casa nessuno se ne accorge.
Non parliamo di episodi, ma di storie che durano anni e che i docenti ogni giorno affrontano creando relazione, supporto psicologico e materiale. Ricordo che per un periodo a dei fratellini che arrivavano a scuola in condizioni pietose, le maestre facevano loro la doccia, cambiavano i vestiti, davano da mangiare e a volte han dato addirittura farmaci per gli ascessi ai denti non curati. Questi bimbi che accogliamo a sei anni, li vediamo crescere in balia degli assistenti sociali e dei tribunali dei minori che, ancor più dopo Bibbiano, sembrano non riconoscere più il valore dell’allontanamento dalla famiglia di origine quando questa è di danno grave per la crescita del minore.
Minore che diventa un’entità amministrativa dove si segna in una sterile checklist: fatto, fatto, fatto. Fatta la visita a domicilio, fatto l’incontro a scuola, inserito in un centro diurno… E questo sarebbe poi definito il famoso progetto di vita. I bimbi crescono, hanno un potenziale incredibile che non riusciamo a valorizzare perché travolti più dalle procedure che dal senso delle cose, e come da copione, si affiancano a chi presta loro attenzione regalando magari alcool e droga e facendoli sentire importanti facendoli guidare macchine, moto e regalando loro vestiti taroccati e qualche pranzo. Ci si meraviglia delle baby gang quando per anni siamo stati tutti a fare un pezzettino inutile che non incide in un vero cambiamento di vita. Li vediamo a tredici anni ormai persi e senza nessuna colpa, non hanno avuto una possibilità di riscatto, altroché rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione effettiva alla vita del paese.
Molto spesso questi bimbi e bimbe vengono certificati ai sensi della legge 104/92 ed è evidente che in un altro contesto avrebbero potuto mettere in campo tutto il loro potenziale e sviluppare le capacità che hanno, ma che che non possono far evolvere.
In tutto questo i genitori diventano figure marginali, di second’ordine. Interpellati non reagiscono, non modificano, non si mettono in discussione e cosa succede? Nulla. A volte insultano, urlano, aggrediscono, altre partecipano passivamente ai gruppi di mutuo aiuto costituiti da scuola e servizi, che ovviamente non aiutano proprio nessuno. I genitori non sono obbligati a far nulla di veramente impattante La scuola annaspa, scrive ai servizi, ai tribunali, cerca la mediazione con lo psicologo scolastico, i sanitari, gli enti del terzo settore, aggiunge – quando può – risorse, ma non basta.
Il rientro a casa segna, forma, fa la differenza, a volte annienta qualsiasi possibilità di vivere una vita da bimbo, da bimba e lo vediamo quando escono a tredici anni e li seguiamo per i primi due anni delle superiori. Si perdono, abbandonano o meglio, sono abbandonati e nessuno più li guarda se non quando prendono una macchina e uccidono una donna o quando rubano, spacciano o stuprano.
Allontanamento, adozioni e affidi sembra siano le parole del male mentre il male continua ad avere la meglio su chi non ha alcuna possibilità di scelta. Tutto questo ha un costo economico e umano importante che se si riuscisse ad ottimizzare a favore di tempi più rapidi degli interventi, monitoraggio delle azioni e valutazione dell’effettivo miglioramento della qualità della vita, ne beneficerebbe l’intera comunità e non solo la singola situazione. Non servirebbe spianare campi rom e nemmeno urlare al lupo a lupo a Bibbiano! “Fare” e “cambiare” velocemente dovrebbero essere le azioni che guidano le nostre scelte da fare necessariamente in équipe, ognuno per il proprio pezzo, ma tutti per un unico obiettivo: rendere viva la Costituzione.
*Dirigente scolastica Istituto Comprensivo Trento 5
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