Violenza a scuola: una nuova alleanza educativa tra scuola, famiglia e società

Ogni società, nel corso del suo sviluppo, ha sempre considerato centrale e strategico il ruolo della scuola per il futuro delle nuove generazioni, per la sua stessa continuità e per una positiva evoluzione. I cambiamenti e gli sconvolgimenti sociali ed economici seguiti alla fine della seconda rivoluzione industriale hanno modificato il volto delle nostre società, delle nostre economie e modificato approcci e comportamenti che fino ad allora avevano assicurato modelli di comunicazione e di relazione tra adulti e minori, tra docenti e studenti, tra genitori e figli, garantendo stabilità e rispetto dei rispettivi ruoli. Il binomio scuola-famiglia funzionava perfettamente nella certezza che il ruolo di educatori, pur se in modi distinti, competeva ai genitori, in primis, che sono i primi educatori, poi ai docenti, che proseguivano il compito educativo iniziato dai genitori in una logica di continuità e coerenza, pur se con forme e finalità differenti. Ne abbiamo parlato in maniera approfondita nel numero di maggio di Tuttoscuola in un articolo di Speranzina Ferraro.

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Entrambi i ruoli sono fondamentali per la crescita armonica dei minori e, soprattutto, non possono che svilupparsi in un’ottica difiducia e di rispetto reciproco. Le prime competenze, che abilitano i bambini a entrare in società, apprendendo come comportarsi, vengono dai genitori e sono fondamentali non solo per la conquista dell’autonomia, quanto anche e soprattutto per un efficace inserimento sociale. Il bambino, infatti, impara in famiglia a parlare, a manifestare i suoi bisogni, impara a mangiare, a vestirsi, a interagire con gli altri in modo da rispettare le principali regole della relazione sociale e così via. Tutto questo in passato avveniva in una famiglia ben diversa da quella odierna: una famiglia certamente numerosa, con i nonni che spesso vivevano accanto o molto vicini e partecipavano all’emancipazione dei nipoti e in cui l’interazione tra fratelli e sorelle, spesso di età differenti, era il modo per favorire l’acquisizione di regole, di ruoli, di relazione, nel rispetto delle parti. Oggi le famiglie sono spesso mononucleari, molte sono disgregate e le stesse donne devono conciliare il loro impegno materno con quello professionale, altrettanto importante ai fini della realizzazione personale oltre che necessario per il benessere della famiglia stessa. Inoltre, il cambiamento del lavoro, che tiene fuori di casa entrambi i genitori per molte ore della giornata, ha modificato l’assetto familiare, ha visto l’ingresso di altre figure accanto ai bambini con il compito per lo più di vigilanza e custodia, più che di educazione, ed  ha spostato in avanti l’acquisizione di regole per il comportamento sociale e individuale, senza ben distinguere e definire a chi spetti il compito di incidere sulla crescita e l’autonomia dei minori. La trasformazione della composizione familiare ha comportato anche il crollo dell’autorità parentale  già profetizzata, alla fine degli anni ’70, da C. Laschnel libro “La cultura del narcisismo”, con riferimento alla società americana, (non a caso citato da Antonio Polito (http://www.corriere.it/cronache/17_gennaio_14/narcisismo-no-impossibili-genitori-ragazzi-3cb535b6-d9d3-11e6-9668-96e09f069892.shtml ),  in cui proponeva un’aspra critica ai modelli educativi sia familiari sia scolastici, scrivendo: “Al crollo dell’autorità parentale corrisponde il collasso dei vecchi freni inibitori e il passaggio da una società dominata dai valori del Super-io (i valori dell’autocontrollo) a una società pervasa da una crescente esaltazione dei valori dell’Es (i valori dell’autocondiscendenza)”.

Come conseguenza di tanti cambiamenti, anche la scuola ha visto mutare ed aumentare il suo ruolo educativo con l’ingresso di compiti prima di pertinenza dei genitori, in virtù anche del fatto che l’età della responsabilizzazione si è spostata in avanti e l’ingresso nella scuola, un tempo simbolo di essere diventati grandi e di entrare nell’età dei doveri, è divenuto solo il passaggio da una situazione protettiva ad un’altra.

A ciò si aggiunga, anche, la demolizione avvenuta gradualmente del peso e del valore della scuola nella nostra società. Prima i bambini venivano affidati alla scuola con la certezza che essa avrebbe continuato e completato l’opera di educazione iniziata in famiglia, in continuità e armonia, coltivando la loro formazione culturale in vista del loro ingresso nella società da protagonisti attivi. Oggi, invece, spesso i genitori e i docenti si fronteggiano, anziché allearsi e condividere un modello educativo che consenta ad ogni minore di crescere e fortificarsi in coerenza con i propri bisogni e le proprie attitudini. Il docente, specie nella scuola materna e primaria, continua e completa il ruolo educativo della famiglia attraverso la relazione educativa efficace. Se questa relazione viene compromessa o peggio messa in discussione da un genitore, una ripercussione negativa avviene anche nel bambino, ostacolandonelo sviluppo di una lineare affettività e causando spaesamento e confusione. Questo non aiuta il bambino a crescere e svilupparsi in armonia. 

Sono di questi giorni le notizie che mettono in evidenza l’esplosione di violenza da parte di genitori verso i docenti. Sono genitori che non si schierano più dalla parte dei docenti, riconoscendo il loro ruolo di educatori, ma che prendono le difese dei figli, entrando in un meccanismo di alleanza del figlio, che certo non lo aiuta a crescere, ma che soprattutto rafforza la confusione di ruoli e indebolisce la forza educativa del docente.

Costituisce un dato preoccupante l’iper protezione che i genitori mostrano verso i figli, aiutandoli a superare tutti gli ostacoli che incontrano, soprattutto in ambito scolastico. Essere troppo vicini ai figli, farli crescere nella bambagia, aiutarli a risolvere ogni problema, impedendo loro di mettersi in gioco e di cercare autonomamente una possibile soluzione, non significa dimostrare loro di amarli di più, ma causare loro danni, con possibili ripercussioni future anche nella relazione con gli altri. I bambini devono imparare a ragionare con la propria testa, risolvere problemi adeguati alla loro età e al loro sviluppo, gestire lo stress, superare gli ostacoli e acquisire gradualmente quelle competenze necessarie per lo sviluppo di una vita adulta sana e positivamente attiva. Educare significa aiutare a crescere, per cui la persona, figlio o studente che sia, cresce nella misura in cui la si incoraggia a mettersi alla prova per sperimentare i propri limiti e le proprie qualità e capacità, affrontando il rischio e apprendendo le regole che sono alla base di ogni azione o esperienza.

È vero, oggi i giovani crescono in un mondo molto diverso da quello dei loro stessi genitori e che continua a cambiare continuamente, per cui l’impegno dell’essere genitore e perseguire un modello educativo, che spesso non coincide con quello che avviene fuori dalle mura della propria casa, si rivela una fatica immane. Non è facile proporre regole da rispettare e limiti da non valicare, quando il “mantra” vigente spinge ognuno a cercare di ottenere qualunque cosa si voglia o si sogni, perché tutto è lecito, tutto è possibile. In questa visione, è comprensibile cosa può succedere quando uno di questi giovani si trovi davanti a un no o a un fallimento, difficile da accettare; nascono crisi e manifestazioni di disagio e di malessere vario, che in alcuni casi richiedono l’ausilio di esperti, psicologi o psicanalisti. Sembra che si sia smarrito il valore educativo del “no”, come ben ci ricorda Recalcati: “Come vi può essere educazione se l’imperativo che orienta il discorso sociale s’intona perversamente come un «Perché no?» che rende insensata ogni esperienza del limite? Come si può introdurre la funzione virtuosa del limite se tutto tende a sospingere verso l’apologia cinica del consumo e dell’appagamento senza differimenti? La crisi attuale coincide con la crisi del potere di interdizione, ma anche con la difficoltà della trasmissione del desiderio da una generazione all’altra, coincide con la capacità degli adulti di fornire una testimonianza su come si possa esistere senza voler suicidarsi o impazzire, sulla capacità di rendere questa esistenza degna di essere vissuta. È il doppio compito della funzione paterna. Essere chiamati a introdurre un «No!» che sia davvero un «No!» (http://www.minimaetmoralia.it/wp/la-formazione-passa-per-la-via-del-fallimento/).

Senza dubbio si è rotto quel patto che esisteva tra genitori e docenti e si sono smarriti i punti di riferimento riconosciuti come validi fino all’inizio dell’era post industriale. Tra genitori e docenti regnano oggi la sfiducia e una certa la spaccatura riguardo alle finalità educative della scuola e della stessa famiglia, che rendono difficoltoso l’incontro e il dialogo.  Ma questo non significa che la strada da percorrere sia quella di espellere i genitori dalla scuola o di fare a meno di loro, anzi il patto di alleanza scuola – famiglia va rifondato e insieme le due istituzioni devono ricercare il modello educativo più efficace per far crescere in armonia e serenità le nuove generazioni. La scuola non può fare a meno dei genitori e i genitori non possono fare a meno dei docenti.

Questo è avvenuto perché la scuola ha smesso da tempo di essere il motore dello sviluppo della società e della sua floridezza; di conseguenza, è stata attaccata, accusata di non rispondere alle consegne attese e di non cambiare nonostante i risultati non esaltanti. Abbiamo approfondito la questione nel numero di maggio di Tuttoscuola.

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