Verso la terza Repubblica?/3. Per la scuola servono riforme no partisan

La caduta della reciproca legittimazione, ma soprattutto la prospettiva di un diverso bipolarismo, nel quale i due partiti che raccolgono i maggiori consensi siano meno condizionati dalle forze minori o minime – e perfino da singoli parlamentari, come si è visto nella discussione della legge Finanziaria 2008 – potrebbe rendere meno faticoso l’iter delle riforme, ponendo fine al muro contro muro.
Da tempo si sta manifestando una convergente pressione dell’opinione pubblica e di alcuni importanti soggetti istituzionali – dalla Banca d’Italia alla Presidenza della Repubblica – affinché la questione del rilancio del nostro sistema educativo e formativo diventi una grande questione nazionale, e un terreno di dialogo, anziché di scontro, tra le principali forze politiche del Paese, al di là della loro collocazione nella dialettica parlamentare.
Sarebbe auspicabile che su alcuni obiettivi strategici le principali forze politiche in campo – quelle “a vocazione maggioritaria“, che alle elezioni di aprile riceveranno nel loro insieme presumibilmente il 70-80% dei consensi – trovassero alcuni punti di convergenza prima delle votazioni, impegnandosi poi a sostenerli nel nuovo Parlamento a prescindere dalla loro collocazione, al governo o all’opposizione. Tra questi punti di convergenza no partisan ci piacerebbe trovare, per esempio, un significativo recupero di posizioni nelle classifiche comparative internazionali (lo hanno già fatto in pochi anni Paesi come la Germania e la Polonia), la riduzione dei gap territoriali e per tipologia di scuola, l’aumento della quota degli investimenti rispetto alla spesa totale, il sistematico riconoscimento del merito, la rivalutazione della professione docente (ci si sta provando in Francia e altrove), e più in generale il ripristino dell’autorevolezza dell’istituzione scuola.