Valutazione/2. Quando con la media dell’otto si finiva sui giornali

La ricerca di una maggiore severità nella valutazione delle prestazioni e del comportamento degli alunni non può far dimenticare il fatto che fino alla metà degli anni novanta dello scorso secolo gli insegnanti italiani delle scuole secondarie superiori non usavano quasi mai l’intera gamma dei voti decimali: era difficile, sia per le prove scritte che per quelle orali, scendere sotto il 4 (qualche volta 3), e salire oltre l’8: i 9 e i 10 erano rari.

Diverso era il caso del voto di maturità, assegnato in sessantesimi dopo la riforma del 1969: si vide subito che non c’era affatto corrispondenza tra il voto di 60/60, attribuito da subito con una certa facilità – aumentata nel tempo – e una pagella di tutti 10 data prima della riforma. Prima del 1969 con una pagella di tutti 10, ma anche con la media del 9 e qualche volta dell’8, non era difficile vedere il nome dei neodiplomati e delle loro scuole pubblicati sui quotidiani.

Il punto di svolta, in direzione dell’uso dell’intera gamma dei voti decimali, e soprattutto dei più alti, si ebbe nella seconda metà degli anni novanta, per impulso dell’allora ministro Luigi Berlinguer, che invitò gli insegnanti ad essere più generosi, e più impegnati sul fronte non della valutazione selettiva degli allievi, ma su quello della valutazione formativa e del “successo” di tutti gli studenti, “non uno di meno”, come poi ebbe modo di dire il suo consigliere, e successore, Tullio De Mauro.

Ci sembra difficile, malgrado l’impegno dell’attuale ministro per una scuola più rispettata, anche nella sua funzione valutativa, che si possa tornare a “prima del ‘68”.