Vaccini anti Covid: ecco perché sono anche un test per valutare la qualità della scuola

Sarà un caso che la categoria degli insegnanti, quasi tutti laureati, sia tra quelle con un più elevato tasso di vaccinazione anti Covid, mentre le categorie dei portuali e dei camionisti, con un livello di istruzione tra i più bassi, siano tra quelle meno disponibili alla vaccinazione? E sarà un caso che le Regioni con un maggior numero di non vaccinati (Sicilia, Calabria, Campania) siano tra quelle con le più elevate percentuali di fallimento e di dispersione scolastica? E sarà un caso che i più giovani, mediamente più acculturati, siano più disponibili alla vaccinazione dei quaranta-cinquantenni, che lo sono di meno? (Ricordiamo a questo riguardo un dato agghiacciante sui livelli di istruzione nel nostro paese: il 38,8% degli italiani tra i 25 e i 64 anni non è andato oltre la licenza media, rispetto al 21,3% della media UE. Un ritardo che – sia pure in diminuzione, nel 2008 eravamo al 46,7% – implica una serie di conseguenze su più versanti, dall’occupazione, alla salute, alla sicurezza fino alla qualità della vita sociale. Non a caso il motto di Tuttoscuola è “+ istruzione è la soluzione”).

Sono domande che inducono a riflettere sull’incidenza che l’incremento della scolarizzazione e l’innalzamento del livello medio di conoscenza possono esercitare sui comportamenti collettivi, e che spingono a considerare prioritaria la riduzione dei gap scolastici territoriali anche sul versante sociosanitario per evidenti ragioni di difesa della collettività nazionale dalle nefaste conseguenze dell’ignoranza e della connessa maggiore facilità a recepire leggende e fake news di una parte della popolazione adulta, quella meno istruita.

L’andamento delle vaccinazioni si presenta di fatto come una specie di test sulla qualità della scuola: non tanto, o meglio non solo, della scuola di oggi, ma di quella che ha prodotto gli attuali livelli e dislivelli di educazione della popolazione adulta.

Quanto alle riserve e ai dubbi avanzati da alcuni noti intellettuali come Giorgio Agamben e Massimo Cacciari (che peraltro si è felicemente vaccinato) sul carattere totalitario di misure di emergenza come l’adozione del green pass, che produrrebbe una discriminazione tra i cittadini, va detto che secondo questo principio potrebbe essere allora considerata una discriminazione quella di una minoranza di cittadini, quella mediamente meno acculturata, a danno della maggioranza.

È singolare, quasi un contrappasso, che raffinati intellettuali di fama internazionale, punte di diamante dell’elaborazione culturale, si dedichino a una sorta di difesa del diritto all’ignoranza, o quanto meno del diritto degli “ignoranti” a restare tali. 

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