Università. La concorrenza è compatibile con il valore legale dei titoli?

E’ opinione diffusa che il ministro Gelmini allo stato dei fatti sarà ricordata, in futuro, più per la riforma dell’università (ammesso che riesca a perfezionare in tempo utile l’iter dei provvedimenti d’attuazione) che per quella della scuola, più ritoccata che realmente riformata.

Ma le non poche novità introdotte con la legge 240/2010 – dai Consigli d’amministrazione aperti all’esterno ai nuovi concorsi, dal superamento delle facoltà alle misure volte a limitare il potere delle baronie universitarie, e in generale ad affermare il principio del merito – rischiano di non essere realmente efficaci, secondo molti osservatori, se non saranno accompagnate dall’unico provvedimento capace di creare un’effettiva concorrenza tra le diverse università, l’eliminazione del valore legale dei titoli.

E’ questa la convinzione espressa anche da Sergio Romano nella sua rubrica di lettere al Corriere (3 settembre): fino a quando i titoli avranno lo stesso valore formale le università “mediocri non saranno sollecitate a migliorare e quelle buone non raccoglieranno, se non parzialmente, i frutti del loro lavoro”.

Ma neanche questa misura, pur decisiva, sarebbe sufficiente. Secondo Romano è necessario anche, al di là della questione del valore legale, un maggiore rigore negli studi: “occorre evitare che gli esami possano essere ripetuti indefinitamente e ridurre il numero dei fuori corso”. Ci permettiamo di aggiungere che occorrerebbe inoltre ampliare se non generalizzare l’uso di prove scritte accanto se non al posto di quelle orali. Basterebbe questa sola misura (osteggiata da molti docenti perché impegnativa per loro prima ancora che per gli allievi) per rendere l’esito delle prove d’esame forse un po’ meno gradito dagli studenti ma anche più corrispondente all’effettivo livello di preparazione da essi raggiunto.