Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

UNA NUOVA DOMANDA DI FORMAZIONE: STUDENTI IMMIGRATI DI SECONDA GENERAZIONE

Nella formulazione di un programma per lo sviluppo e la crescita del sistema educativo occorre prestare attenzione alla domanda, cercando anche di elevarne la qualità, piuttosto che esclusivamente all’offerta. Ciò significa affrontare la questione delle caratteristiche dell’utenza dei servizi, tenendo conto anche dei nuovi contenuti da dare ai concetti di cittadinanza attiva e di inclusione.
Per questo misurarsi sulle questioni della scuola significa tenere presente anche un fenomeno, quello generale degli immigrati e in particolare quello degli studenti di seconda generazione, che sta iniziando a impattare fortemente il settore educativo.
Al 1 gennaio 2005 gli stranieri residenti in Italia sono 2.402.157: 411.998 in più dello scorso anno, con un incremento del 20.7%. I nuovi immigrati sono, formalmente, 380.737.
Ormai gli stranieri rappresentano il 4,1% della popolazione residente complessiva, e tuttavia, nel quadro europeo il dato italiano è notevolmente inferiore a quello della Germania (8,8%), dell’Inghilterra (8,3%), della Francia (5,9%), della Spagna (4,9%), paesi per i quali i dati però sono relativamente vecchi.
C’è un fenomeno in crescita: 19.140 i nuovi cittadini italiani nel 2004, 17.205 nel 2003.
Si tratta di persone che acquisiscono la cittadinanza italiana prevalentemente per matrimonio. Ma sono anche 33.691 nel 2003 e 48.925 nel 2004 i bambini nati in Italia da genitori stranieri, dunque stranieri anagraficamente, ma che crescono e si educano in un contesto italiano. Quasi altrettanti sono i minori venuti in Italia per ricongiungersi al loro nucleo familiare.
Ormai siamo alla seconda generazione di immigrati.

Una nuova domanda di formazione
I figli degli im¬migrati si formano sui banchi di scuola e davanti ai televisori europei, a stretto contatto con i coetanei italiani, dai quali mutuano interessi, stili di vita e desideri di consumo.
La scuola per prima, tra tutti, ha dovuto fare i conti con questa realtà.
Il sistema scolastico è stato chiamato a fornire ai figli degli immigrati le condizioni per intendere il clima in cui vivono e si muovono, assicurando loro gli strumenti necessari a comprendere e ad esprimersi.
Il futuro delle generazioni prossime degli immigrati tende ad identificarsi con quello delle generazioni coetanee italiane: ad identificarsi, ma anche a scontrarsi con esse, come dimostrano i recenti avvenimenti in alcuni paesi dell’Unione Europea.
La presenza di alunni stranieri nella scuola continua a crescere con ritmi sostenuti: lo scorso anno scolastico erano oltre 300 mila, appartenenti a 191 diverse nazionalità. La maggioranza è accolta nella scuola statale, il 9,5% nella scuola paritaria o legalmente riconosciuta. Il 40% si trova nella scuola primaria.
L’area geografica che registra la maggiore percentuale di alunni stranieri è il Nord-Est: ogni 1000 alunni, 61 sono stranieri. Tra i capoluoghi, la più alta incidenza (102, 5 alunni su 1000) si registra a Milano.
Questi sono dati parziali; non esistono, ad esempio, dati nazionali di dettaglio.
Fa eccezione la Provincia di Pisa, con una realtà che rileva una tendenza ed una prospettiva: gli stranieri di seconda generazione sono il 43,6% nella scuola dell’infanzia, il 18,3% nella primaria, il 7,5% nella secondaria di I grado, il 3,5% in quella di II grado. Complessivamente, tra i diversi ordini di scuola, la percentuale di stranieri di seconda generazione è del 17,2%.
Nelle Università attualmente la situazione è diversa.
L’Italia, tra i paesi industrializzati, ha il più basso tasso di studenti stranieri. I dati comparativi più recenti della Commissione europea, riferiti all’anno accademico 2001/2002, mostrano che gli studenti stranieri nelle università italiane sono l’1,5% del totale. Un numero inferiore alla media dell’Europa a 25 che si attesta al 5,5%, con punte del 10% in Germania e nel Regno Unito.
Su questi dati occorrerà riflettere.
Di qui a poco, soltanto tra qualche anno, ed anche all’università arriveranno gli studenti figli di immigrati.
Non è la stessa cosa che accogliere nelle nostre università studenti stranieri: si tratterà prevalentemente di cittadini “italiani” di origine straniera, figli di immigrati, o essi stessi immigrati, inseriti nella nostra società al punto da aver seguito un regolare corso di studi. Saranno pochi all’inizio, ma – considerata la spinta demografica e tenuto conto dei flussi di immigrazione, che non sono soltanto di origine extraeuropea – è ragionevole prevedere tra breve una loro crescita.
E’ ciò che è già accaduto nella scuola secondaria di primo grado e sta ora accadendo in quella superiore.
Proiettando i dati, tra meno di dieci anni si prevede che i giovani nati da immigrati possano raggiungere la quota di un milione. Se crescono le iscrizioni scolastiche e le classi miste di italiani e “nuovi cittadini”, crescono parallelamente le responsabilità della scuola.

Una nuova sfida e una nuova risorsa
Tutti si chiedono come favorire l'”inserimento” degli alunni stranieri nella scuola, ma la questione della presenza degli studenti di seconda generazione di immigrati, dai quali dipende in parte il futuro del nostro Paese, non sembra ancora entrata nell’agenda dei responsabili del sistema educativo.
E’ urgente una riflessione approfondita ed equilibrata non solo perché una diffusa complessità etnica concorre a trasformare le caratteristiche della scuola italiana, ma anche perché le famiglie di immigrati riconoscono alla scuola un’importanza decisiva per la costruzione del futuro dei loro figli. Non si tratta ormai soltanto di favorire la socializzazione, essenziale per la prima immigrazione, in cerca di condizioni di vita migliori, ma di garantire l’acquisizione di repertori culturali come strumento di una realizzazione anche professionale.
Se la prima immigrazione accetta anche condizioni logistiche diseguali, mestieri meno appetibili e lavori precari perché ha come indicatore gli standard di vita del paese d’origine, le seconde generazioni non sono disponibili ad accettare le stesse condizioni dei loro genitori perché, realizzata un’integrazione di base, hanno aspettative diverse, simili a quelle dei coetanei “italiani”.
Il ruolo della scuola è decisivo per garantire le competenze necessarie per l’esercizio di una cittadinanza attiva, ma anche per la rielaborazione della propria identità. La scuola rappresenta uno spazio prezioso per consolidare i legami comunitari spendibili nella società civile.
La rielaborazione dell’identità culturale delle seconde generazioni è una questione complessa ed è spesso accompagnata da frizioni e paure a causa della debolezza dei percorsi scolastici, della fragilità del sistema di relazioni, della difficoltà di inserimento professionale. Ciò può comportare una possibile conflittualità nella scuola dove i giovani sono chiamati al difficile compito di dover essere “eguali e diversi”, conciliando, in una condizione di reciprocità con i loro pari, culture e valori.
Il problema ha molte facce e richiede attenzione a temi talvolta antitetici: promuovere l’integrazione perché ciascuno di questi studenti sia cittadino a pieno titolo di una stessa Italia e non strappare questi studenti alla cultura d’origine; valorizzare il contributo che può venire da questi studenti e non declassare quello che proviene dagli studenti italiani; impiegare risorse per la loro formazione e sapere che queste possono essere “a fondo perduto”, agevolando, se richiesto, il ritorno ai paesi d’origine degli studenti formati, che è poi una remunerazione alta degli investimenti effettuati.
La scuola ha una responsabilità importante per prevenire la diffusione di pregiudizi e stereotipi, per facilitare l’integrazione tra bambini, per sostenere ed incoraggiare la partecipazione dei genitori stranieri. Una scuola, che non è preparata e sostenuta ad accogliere i migranti di seconda generazione, può concorrere a creare marginalità ed esclusione sociale.
Il Ministro Moratti ha recentemente fornito alla Commissione Cultura del Senato, nel quadro dell’indagine conoscitiva sull’integrazione e il dialogo tra culture e religioni nel sistema d’istruzione, una puntuale analisi quantitativa del fenomeno dell’integrazione e dell’accoglienza di alunni stranieri, ma non ha fatto alcun riferimento concreto agli strumenti di sostegno effettivo che rimangono strutturati per un’utenza solo italiana o di prima accoglienza.

Un nuovo progetto e nuovi strumenti
Dovrebbe esserci, invece, iniziative mirate alle seconde generazioni perché il Paese non può, tra l’altro, permettersi lo spreco di un capitale umano motivato in un contesto demografico segnato in incremento solo dalla crescita della popolazione immigrata.
L’attuazione di un progetto politico, che richiede di guardare avanti e governare i processi, necessita di conoscenze e competenze.

E’ dunque un problema di “governance” di alto respiro, verso il quale è richiesto di orientare gli sforzi, pensando fin da ora alla creazione di un organismo che coordini studi ed analisi, raccolga proposte, esamini le pratiche in atto, proponga modelli operativi, proseguendo il lavoro fatto finora per rendere più efficace la vita nella scuola, più produttiva e senza traumi quella nell’università.
Da qui la necessità di avviare nuove politiche formative delle risorse umane, per le quali l’università gioca un ruolo di una grande responsabilità nella progettazione e nella gestione: dalla formazione d’ingresso in ruolo, all’aggiornamento dei docenti e, non ultima, una revisione dei percorsi di apprendimento e dei processi didattici.
I docenti devono essere posti nelle condizioni di poter intervenire positivamente sulla esperienza di tutti gli studenti, di poter tenere conto delle caratteristiche di tutta la popolazione giovanile, anche di quelle particolari della seconda generazione di immigrati.
Tra gli strumenti attuatori di una politica scolastica attenta alle seconde generazioni vanno posti sia quelli che costituiscono l’approccio più efficace nell’immediato (come i tutor o i mediatori culturali), ma in vista del loro superamento, sia la creazione di strutture di sostegno alla crescita permanente della persona, in tutte le sue età e condizioni.
Tutto questo richiede mezzi finanziari, ma soprattutto una cultura di intervento a più facce, una capacità di affrontare i problemi in maniera sistemica, che è l’unico mezzo per rendere realmente produttivi gli investimenti.
Il Paese ha interesse che questo processo di formazione, fino ed oltre l’università, si realizzi: l’alternativa è la creazione o l’ampliamento di sacche di soggetti socialmente emarginati o rifiutati culturalmente, con tutti i rischi connessi, che non sono soltanto l’incontrollabilità di universi sommersi, soprattutto nelle grandi città, ma anche la perdita di energie, di risorse e di opportunità di crescita per tutti.
Investire su questi giovani, a volte anche molto motivati, significa convogliare energie e speranze di mobilità sociale e di democrazia.
Questo è un aspetto che vale per tutti e che occorre rimettere al centro delle politiche dell’istruzione e della formazione, per rimettere in moto un sistema ingessato e un sistema sociale che rischia, sempre più, di essere cristallizzato.

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