Trasformazione digitale nella scuola: la riflessione del direttore dell’USR Piemonte

Pubblichiamo di seguito la nota inviata a Tuttoscuola dal direttore generale dell’ufficio scolastico regionale del Piemonte, Fabrizio Manca, in merito alla pubblicazione sul nostro portale del racconto dell’esperienza della scuola paritaria di Borgomanero

Leggendo questa interessante, ancorchè  per ora parziale pubblicazione e illustrazione del loro progetto, e volendo offrire alla vostra bella iniziativa editoriale un umile contributo, la prima riflessione che mi viene in mente è che nel nostro sistema scolastico manchi l’elaborazione, sul piano educativo e formativo, di  una “cultura” del digitale, come tratto caratterizzante dello sviluppo cognitivo e del percorso di crescita dello studente come cittadino del domani.

Si continua a commettere un errore di fondo, quello di trattare le tecnologie  come materia di studio e, peggio, di utilizzarle come fine e non come mezzo di trasmissione della conoscenza, trascurando i vantaggi che esse possono offrire in termini di nuove opportunità di insegnamento e di miglioramento della qualità degli apprendimenti, ovvero di capacità della scuola di formare le nuove generazioni ad affrontare con consapevolezza le sfide del XXI secolo.

In altre parole, non basta dotare le scuole di infrastrutture e dispositivi digitali per ottenere buone performance sul piano organizzativo e didattico: se vogliamo recuperare  sugli altri sistemi europei e del mondo, oggi più avanzati, dobbiamo preoccuparci di colmare questa distanza prima di tutto sul piano culturale, costruendo un progetto pedagogico in grado di promuovere per tutte le componenti della comunità scolastica una educazione digitale.

Per fare questo bisogna partire da alcune domande essenziali:

– che cosa significa vivere in una società interconnessa, quella che il filosofo Luciano Floridi, uno dei massimi esperti mondiali di comunicazione digitale, ha  chiamato “infosfera” o “quarta rivoluzione”?
– Quali sono i mutamenti che essa comporta, a livello globale, nelle relazioni umane e nei sistemi sociali, economici, giuridici e politici delle società?
– Qual’è il pensiero che muove la rete, l’intelligenza artificiale, i robot,  gli algoritmi, le machine learning, i big date?
– Come cambia il rapporto spazio/tempo e come prepararsi a saper gestire la velocità dei cambiamenti e l’incertezza o gli imprevisti che dagli stessi derivano?
–  Che cosa bisogna insegnare alle nuove generazioni in un’epoca in  cui il processo di obsolescenza riguarda non solo le macchine ma la stessa conoscenza, che invecchia precocemente e deve essere rigenerata, secondo le stime più accreditate e ottimistiche, almeno ogni 7 anni?
– In un mondo dominato dalle tecnologie e dalla pervasività della rete, qual’è  il punto di equilibrio tra sapere scientifico e sapere umanistico, tra specializzazione e multi o, come sostengono gli scienziati della robotica, antidisciplinarietà, tra sapere settoriale e trasversale?

Io credo che solo la scuola, come più importante agenzia culturale del Paese, sia in grado non solo di porsi queste domande, ma anche di trovare le risposte più adatte e di saperle tradurre in contenuti educativi/formativi per accompagnare la crescita delle persone, valorizzare i diversi talenti, liberare la creatività e il potenziale di tutti e di ciascuno. Si chiama didattica orientativa, consente agli studenti di scoprire se stessi, di assumere la responsabilità delle loro scelte future, di capire in che mondo sono e viverlo da protagonisti. Questo è educazione, il cuore del fare scuola, tutto il resto è istruzione, ossia apprendimento delle discipline e viene dopo (ivi comprese coding, internet, tablet o pc, realtà aumentata e quant’altro)”.