Terziario professionalizzante/1. Radiografia aggiornata degli ITS

Come stanno andando gli ITS Academy? Riusciranno o no a riempire quel vuoto di offerta di percorsi di istruzione superiore a carattere applicato e professionalizzante (terziario non accademico) che da sempre caratterizza l’Italia facendone un’eccezione in Europa? A quali modelli si ispira l’esperienza italiana messa a confronto con quella già realizzata in altri Paesi dell’Unione Europea?

Domande alle quali ha provato a rispondere il seminario dottorale (corso Beni culturali, Formazione e Territorio, indirizzo “Educazione”), svoltosi lo scorso 27 giugno presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, intitolato L’istruzione superiore professionalizzante: un confronto europeo, e organizzato congiuntamente da SICESE (Sezione Italiana della Comparative Education Society in Europe), Fondazione Giovanni Agnelli (FGA) e Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi di Milano, rappresentati rispettivamente da Carlo Cappa, presidente della SICESE, Andrea Gavosto, direttore di FGA e Matteo Turri, Università di Milano.

Un seminario importante, come sottolineato in apertura da Lucia Ceci, direttrice del Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società dell’Università di Roma “Tor Vergata”, e da Carlo Cappa, docente ordinario di Pedagogia, che ha introdotto e coordinato i lavori sottolineandone la dimensione comparativa.

Gavosto e Turri hanno presentato le linee essenziali e le prime conclusioni di un rapporto di ricerca sul tema del seminario, in via di completamento e pubblicazione, che possono essere così sintetizzate:

1) gli ITS Academy, la via italiana al terziario professionalizzante – sui quali il PNRR ha investito il rilevante importo di un miliardo e mezzo di euro – costituiscono una realtà assai esigua se confrontata con quanto realizzato negli altri Paesi considerati nel Rapporto (Francia, Germania, Spagna, Svizzera), e assai difficilmente raggiungeranno una consistenza paragonabile;

2) c’è una sensibile differenza tra gli ITS realizzati nel Nord-Ovest e in Emilia-Romagna, ben inseriti nel tessuto imprenditoriale del territorio e pienamente funzionali alle esigenze delle imprese medio-grandi, e quelli realizzati nel Centro-Sud, dove l’interazione con le aziende è assai più difficile, più ardua la programmazione delle attività e minore la disponibilità di esperti aziendali (che secondo la legge n. 99 del 2022 devono coprire il 60% della attività didattiche);

3) nelle Regioni a minore sviluppo economico è ancora forte l’ancoraggio degli ITS agli istituti scolastici di provenienza, e di questo risente la didattica, meno immersa nelle dinamiche innovative che caratterizzano la formazione nelle Regioni del Nord;

4) l’apporto delle Università, significativo in altri Paesi come la Francia, in Italia è sempre stato e resta limitato e subordinato a logiche accademiche che privilegiano il sapere teorico rispetto a quello esperienziale e professionalizzante;

5) il confronto con realtà come quella della Germania, dove la formazione superiore professionalizzante erogata dalle Fachhochschulen ha oltre un milione di iscritti, è in Italia del tutto improponibile perché il sistema tedesco ha le sue radici storiche nel sistema duale e nell’apprendistato, che riguarda metà della popolazione scolastica dai 15 anni in su.

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