Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Sul crocifisso ampia convergenza di laici e cattolici

Gli argomenti utilizzati da gran parte di coloro che sono intervenuti in questi giorni nel dibattito sviluppatosi dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Strasburgo (di cui peraltro non si conoscono le motivazioni analitiche) sono ampiamente convergenti, pur provenendo da esponenti di ambienti culturali diversamente orientati, in senso cattolico o laico.

Fanno eccezione alcuni (pochi, per fortuna) oltranzisti dei due schieramenti, i neocrociati che impugnano la croce come un’arma da combattimento e i neoghibellini che la vorrebbero cancellare dalle aule e dalla storia.

Gli altri, cioè quasi tutti, pensano come il laico Magris che “il crocifisso, simbolo di sofferenza, non può offendere nessuno” (Corriere della Sera del 7 novembre 2009), o che “sia per i credenti sia per chi non crede il crocifisso parla in maniera molto più profonda e molto più ampia di non poche ristrettezze“, come dice il vescovo di Terni-Amelia Mons. Vincenzo Paglia, responsabile della Conferenza Episcopale Italiana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.

La più argomentata contestazione dell’estremismo di segno laico-laicista viene peraltro non dal mondo cattolico ma da quello laico di ispirazione liberale, erede di una tradizione che pur ebbe in passato punte di forte contrapposizione alla Chiesa, se non di aperto anticlericalismo. Ne è testimonianza l’articolo di Piero Ostellino, anch’esso pubblicato dal Corriere della Sera dello scorso 7 novembre, nel quale si sostiene che “con la sentenza di Strasburgo è nata una nuova forma di religione, in nome del rifiuto della religione come storia, prima ancora che come concezione trascendentale dell’esistenza“.

Per una sorta di nemesi, insomma, l’iperlaicismo rischia di convertirsi nel suo contrario, in una nuova forma di clericalismo. Diciamo che non se ne sente il bisogno…

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