Studenti contro gli ‘esami di riparazione’ (e i test)

Non erano pochi gli studenti che hanno manifestato venerdì 12 ottobre contro il ripristino di fatto degli esami di riparazione, e contro il numero chiuso nelle iscrizioni universitarie: da un minimo di 50.000 (stima riduttiva del Ministero dell’Interno) ad un massimo di 300.000 (valutazione ottimista del “Manifesto“, in genere affascinato dai movimenti che inalberano vessilli o parole d’ordine che si richiamano, o credono di richiamarsi ai valori della “sinistra“).
Ma è “di sinistra” opporsi a misure come la verifica dell’effettivo recupero delle insufficienze nel rendimento scolastico degli allievi? Ed è “di sinistra” opporsi in linea di principio non tanto ai test di ammissione alle università (quelli dati quest’anno erano scarsamente difendibili) quanto a qualunque misura di tipo meritocratico volta a far corrispondere il numero degli studenti alle effettive capacità delle sedi universitarie di garantire decenti condizioni di studio?
Come dare torto al ministro Fioroni quando osserva che il mancato recupero dei debiti (800.000 all’anno) danneggia soprattutto i figli delle famiglie meno abbienti, “perché i figli dei ricchi alla fine un lavoro lo trovano” anche se sono impreparati, mentre lo stesso non si può dire per quelli dei poveri, che possono contare solo su una seria preparazione scolastica? Eppure le associazioni studentesche promotrici della manifestazione giudicano “insoddisfacente e superficiale” la posizione di Fioroni.
Tempo fa, sull’onda del sessantotto, uscì un bel libro di Vittoria Ronchey. Si chiamava “Figlioli miei, marxisti immaginari“. Anche loro manifestavano e si sentivano “di sinistra“. Poi, col tempo, hanno messo su famiglia, e magari ora si ritrovano qualche “bamboccione” in casa…