Smartphone e scuola. Dove ci ‘conducono’ le giovani generazioni

Questo nuovo anno scolastico oltre 8 milioni di studenti sono tornati sui banchi di scuola. Per l’OCSE il 70% dei nostri ragazzi affronterà l’anno scolastico con ansia. E un’indagine Coni-Eurispes ha mostrato che alla domanda “quale dipendenza ti fa più paura” il 73% ha indicato quella tecnologica. Si focalizza, perciò, il vero problema: i ragazzi sono lasciati soli a vivere il rapporto con la tecnologia. Ma chi sono questi ragazzi, cosa pensano, cosa desiderano? Ne abbiamo parlato nel numero di novembre di Tuttoscuola in un articolo firmato da Filomena Zamboli.

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La novità che segna una svolta per una generazione abituata alla tecnologia è stata annunciata dalla ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli: ha istituito una commissione di studio per elaborare Linee guida per l’utilizzo a fini didattici dello smartphone in classe. Questo gruppo di lavoro avrà il compito di valutare quali percorsi adottare per rendere gli smartphone degli strumenti utili in chiave educativa e così valorizzare una delle attitudini maggiori dei “nativi digitali”. Una decisione destinata a far discutere. Infatti bisognerà modificare innanzitutto le norme che ne regolano l’utilizzo a scuola, le ultime emanate risalgono al 2007. E sarà compito delle scuole adottare regolamenti interni che ne disciplinino l’utilizzo a fini didattici.

Per la Ministra, gli smartphone sono uno strumento educativo prezioso, attraverso cui la scuola potrebbe rimodulare la sua relazione con i giovani. «Li vedo e li frequento i ragazzi. E so che non si può continuare a separare il loro mondo, quello fuori, dal mondo della scuola». Certo l’opportunità dello smartphone da utilizzare per fini didattici “deve essere governata”. Le reazioni, anche contrarie, sono significative di un interrogativo culturale. E potrebbero essere riassunte in una domanda: “Kindle vince davvero contro Gutenberg?”.

La scuola si trova di fronte a una gioventù che non ha le condizioni motivazionali necessarie per poter aderire a una proposta normalmente inerte, cioè quella dell’insegnamento per trasferimento. Ci sono poi i teorici che sostengono che il cambiamento tecnologico è anche un cambiamento cerebrale. Cioè tutto ciò che quotidianamente constatiamo (la distrazione, la curiosità immediata e non riflessiva, la difficoltà di concentrazione, la tensione parziale frammentata che vediamo nei nostri studenti, nei nostri figli) lo si ritiene non effetto di un mancato avvicinamento personale alla cultura, ma effetto di un cambiamento storico derivante dai cambiamenti tecnologici. Infatti c’è chi afferma che l’uso del cellulare ha cambiato l’organizzazione del pensiero. In che modo? Il massiccio uso che si fa delle comunicazioni multimediali e il linguaggio sintetico utilizzato si inseriscono tra le funzioni cognitive ed emotive degli adolescenti che sono ancora in via di sviluppo, predisponendoli ad una strutturazione di una forma di pensiero che può risultare eccessivamente sintetica.  La creatività, intesa come capacità di rendere concreta un’idea, in questo modo, è progressivamente azzerata. Si sta affievolendo sempre di più la capacità di pensare e realizzare e si è arrivati ad avere un’immediatezza nell’esecuzione e non nell’elaborazione.

Oggi, inevitabilmente, “la natura altamente relazionale della network society richiede anche di saper mettere in relazione, in rete, conoscenze, persone, processi”, per cui difficilmente è possibile essere competenti da soli, rimanendo isolati. La “liquidità” dell’odierna network society coinvolge in particolar modo le nuove generazioni, i “nativi digitali”, nati e cresciuti in un ambiente fortemente marcato dalle tecnologie digitali. Emerge il riconoscimento degli apprendimenti non formali e informali, in grado di contribuire, accanto a quelli formali, a costruire e gestire la competenza individuale e collettiva.

Il problema è come si insegna. E quindi occorre più coinvolgimento e meno passività. È quanto ha affermato più volte il Direttore dell’Usr Campania, interpellata dagli studenti delle scuole visitate per questo inizio di anno scolastico: occorre dare consapevolezza nell’utilizzo di questo strumento che si chiama smartphone. Creare competenze non è tecnicizzare l’insegnamento. Ci sono certamente gli schemi, i formati, le unità di apprendimento.

Ma il punto decisivo è far sentire i ragazzi protagonisti del reale, farli sentire parte di un’esperienza culturale che è quella di un popolo. Questo vuol dire che col tempo cresce la dimensione culturale, la dimensione cognitiva, la capacità cognitiva delle generazioni, anche quelle, come le nostre, abituate a concepirsi multitasking.  Serve una scuola che insegni ai giovani a inserire la loro anima in ciò che fanno; e per questo serve la cultura. 

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