Sei idee per la scuola, l’importanza dei ‘docenti a tempo pieno’

Pubblichiamo le riflessioni del lettore Nicola Covella sul nostro dossier “Sei idee per rilanciare la Scuola”.

Il dossier è a disposizione di ricercatori ed esperti, di rappresentanti della scuola (associazioni professionali, genitoriali e studentesche, operatori scolastici) e della società (imprenditori, amministratori locali, volontariato, dirigenti pubblici etc), con l’intento di offrire uno stimolo alla riflessione e con l’impegno a diffondere con i mezzi a nostra disposizione i contributi – anche quelli critici, purché propositivi – che la nostra iniziativa intende sollecitare.

Commenti e opinioni possono essere indirizzati a redazione@tuttoscuola.com.

Continueremo a darne conto, alimentando il dibattito, sul portale tuttoscuola.com, sulla newsletter settimanale TuttoscuolaFOCUS e sul mensile Tuttoscuola. Inviate una mail di richiesta del dossier (gratuito) indicando recapiti e professione a tuttoscuola@tuttoscuola.com .

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Gent. Redazione Tuttoscuola,

ho letto il vostro documento “6 idee per la scuola” e vorrei commentare la vostra proposta sulla base della mia esperienza lavorativa di docente, area di specializzazione, nel triennio di un istituto tecnico industriale statale per oltre trent’anni.

Riassumo i 6 punti della proposta:

  • Primo punto: ottimizzare l’utilizzo delle strutture scolastiche
  • Secondo punto: lotta senza quartiere agli abbandoni scolastici
  • Terzo punto: liberare e premiare le energie degli insegnanti
  • Quarto punto: più autonomia, maggiori controlli e valutazione di sistema
  • Quinto punto: individuazione “chirurgica” degli sprechi e delle diseconomie
  • Sesto e ultimo punto: digitalizzazione delle scuole (per tutti)

I vari punti da Voi indicati sono, a mio avviso, tra loro concatenabili e puntualizzabili opportunamente, una volta che siano state stabilite le criticità del quadro d’insieme e definiti gli obiettivi dell’azione.

Innanzitutto partirei da una considerazione fondamentale: il triennio superiore non è scuola dell’obbligo e si rivolge a giovani prossimi alla maggiore età quando non già maggiorenni, come succede nell’ultimo anno.

Inoltre la maggioranza degli allievi ha come obiettivo finale del corso di studi un veloce inserimento nel mondo del lavoro.

La preparazione acquisita deve quindi poter permettere loro di essere pronti professionalmente come lavoratori e consapevoli come cittadini.

Questi obiettivi in questi ultimi 10 anni si sono sempre più ridotti in contenuti e spessore, cioè quantità e qualità anche se manca ancora un’indagine Invalsi per questo livello di scuola, sostituibile al momento con un’analisi dei risultati degli esami di Stato, obiettivamente poco attendibili.

La qualità di un istituto, ad oggi, viene valutato in base a quel 10÷15% di eccellenze per doti naturali, presente statisticamente in ogni classe; il problema, la sostanza, è costituita dal restante 85 ÷90%.

Tra le cause di tale regresso, sottolineo non le uniche cause, vi sono: la liceizzazione degli istituti superiori, la riduzione delle ore di insegnamento, di teoria e di laboratorio, il maggior numero di allievi per classe, la precarizzazione di gran parte dei docenti con conseguente scarsa possibilità del trasmettere le esperienze acquisite tra docenti di differenti generazioni.

A monte del miglioramento del sistema scuola, ripeto mi riferisco agli ITIS, è indispensabile introdurre la figura del docente a tempo pieno, necessaria per la messa in atto in modo non episodico, ma sistematico, di attività oltre le 18 di cattedra quali: sperimentazione didattica con colleghi, attività interdisciplinari, recupero continuo o sportello settimanale, realizzazione di progetti di alternanza scuola-lavoro, stage, Area progetto, programmi individualizzati (con maggiore aiuto agli studenti con difficoltà, ma anche maggiori approfondimenti con studenti in fase avanzata).

Attività, queste, alla base dell’ottimizzazione dell’utilizzo delle strutture scolastiche, della lotta agli abbandoni scolastici e del miglioramento della qualità della formazione degli allievi.

Tutto ciò deve essere affiancato da controlli e valutazione di sistema effettuati da un ente, come da più parti richiesto, esterno al ministero.

Autonomia: anche l’autonomia non può non essere accompagnata da maggiori controlli per il rispetto di linee guida nazionali. Accertato tale rispetto, perché non pensare anche all’abolizione del valore legale del titolo di studio, sia per la scarsa considerazione che ad esso viene dato dalle Università e ancor più dal mondo del lavoro, sia perché rappresenta ancora per troppi, studenti e genitori, l’obiettivo, “il pezzo di carta”, al quale aspirare, la promozione e non la preparazione.

Togliere tale illusione può fare solo molto bene! Inoltre potrebbe ridurre lo spreco consistente negli esami i Stato, ormai un’inutile e vuota formalità, priva di un valido rigore.

Negli istituti tecnici ciascuna specializzazione mira a formare una figura professionale caratterizzata da determinate capacità e competenze che dovrebbero corrispondere a standard elaborati, non solo in ambito nazionale, ma europeo, per permetterne la libera circolazione.

Riprendendo il tema dell’autonomia didattica e affiancandolo all’insegnamento per competenze, nell’ottica sopra accennata, è evidente il rischio di formare tecnici locali quando non di istituto, pericolo che richiede un’adesione alle linee sopra prospettate.

Del resto, ad oggi l’autonomia didattica è stata declinata prevalentemente nel considerare i programmi nazionali come riferimento di massima poi … ognuno secondo le sue possibilità e conoscenze.

Dove sono gli investimenti per la formazione dei docenti sulla didattica per competenze?

Nel triennio questa necessaria/possibile innovazione è al momento praticamente sconosciuta.

Anche la revisione degli orari, nell’ambito dell’attuazione dell’autonomia didattica, là dove sperimentata, è stata abbandonata, pur essendo fondamentale nello sviluppo dei punti di miglioramento sopra accennati. Del resto è evidente che nell’elaborazione degli orari d’istituto, all’interno delle indicazioni nazionali, l’attenzione verte sull’utilizzo del personale e non sull’efficacia della didattica.

“Liberare e premiare le energie degli insegnanti”: è possibile che la carriera di un insegnante consista, di fatto, nella sua anzianità di servizio, e non anche in competenze acquisite con l’istituzione di nuove e, a mio avviso, necessarie figure professionali intermedie tra il docente e il dirigente scolastico? Ci sono le funzioni strumentali, è vero, ma sono così efficaci e risolutive come si vorrebbe?

Si dice che la scuola regga grazie alla buona volontà di un’ampia fetta della categoria, assunto certamente vero, ma può un sistema reggersi e migliorarsi sul volontariato di parte della categoria? Digitalizzazione delle scuole: va bene purché non sia solo un inseguire gli studenti nel loro modo di comunicare.

Riassumendo, formazione docenti, orari, obiettivi, nuove figure professionali, progetti, ecc., sono tutti aspetti tra loro collegati e non è possibile farli interagire positivamente se non si attivano figure di docenti a tempo pieno, investimenti per locali-attrezzature oltre che per stipendi più idonei all’impegno e alla preparazione degli insegnanti. Insomma non è la somma che fa il totale!

I vari punti di cambiamento sono tra loro concatenati all’interno di un piano complessivo, considerarli singolarmente è come dare dei punti, mettere delle toppe ad un abito che era liso e tale resta!

Cordiali saluti e buon lavoro,

Nicola Covella