Secondo ciclo: novità nella bozza di decreto

Gli attuali istituti professionali potrebbero attivare corsi di tipo liceale e, nella stessa sede, anche corsi di istruzione e formazione

La bozza del decreto legislativo sul secondo ciclo è comparsa martedì 18 sul sito internet del MIUR, senza preventivo (o almeno contestuale) invio alle Parti Sociali, che di questo sgarbo si sono molto lamentate, soprattutto la CGIL (www.cgilscuola.it).

Qualche novità, rispetto alle anticipazioni circolate nei mesi scorsi, salta all’occhio anche a una prima, rapida lettura, e non si tratta di novità di scarso rilievo. Nei 28 articoli che compongono lo schema di decreto, per esempio, non si dice più che gli istituti professionali “passano” alle Regioni, ma che “dall’anno scolastico 2006/2007 le competenze relative ai percorsi che si concludono con i titoli e le qualifiche di cui all’articolo 15, comma 5, non rientranti tra i licei di cui al Capo II del presente decreto, sono gradualmente trasferite alle Regioni”. Il che significa che gli attuali istituti professionali potrebbero attivare corsi di tipo liceale e, nella stessa sede, anche corsi di istruzione e formazione, tenuto conto di quanto dice l’art. 25 comma 3:” I percorsi del sistema dei licei e quelli del sistema di istruzione e formazione professionale possono essere realizzati in un’unica sede, sulla base di apposite convenzioni tra le istituzioni scolastiche e formative interessate“.

Il decreto stabilisce inoltre una partenza “graduale” dei nuovi licei, a partire dal 2006-2007. Il che appare molto più realistico della partenza generalizzata ipotizzata in precedenza.

Va detto infine (ma ci torneremo con maggiori dettagli) che la normativa riguardante i “livelli essenziali” ai quali le Regioni dovranno attenersi nella costruzione dei percorsi di loro competenza è assai vincolante per quanto riguarda i piani di studio del primo biennio, che dovranno essere organizzati in modo da rendere possibili i passaggi ai sistemi dei licei: l’art. 19, che individua gli standard formativi minimi, parla di “acquisizione di competenze essenziali di base” con riferimento a quelle linguistiche, matematiche, scientifiche, tecnologiche, storico–sociali ed economiche“.

La cautela sul “passaggio” degli attuali istituti statali (professionali, ma non solo) alle Regioni, la gradualità dell’avvio della riforma, qualche maggiore garanzia sui “livelli essenziali“, la dichiarata disponibilità del Ministro al confronto, consentono forse l’apertura di un dibattito costruttivo. Vedremo.