Se il ‘deficiente’ è un genitore…

Il giudice di Palermo ha emesso una sentenza di assoluzione piena nei confronti della professoressa denunciata da un genitore per aver imposto a suo figlio bullo (o bulletto: 12 anni) di scrivere per cento volte l’ormai famosa frase “io sono un deficiente“.
La contronota di quel genitore, che aveva pensato di scrivere sul diario del figlio una frase insultante nei confronti dell’insegnante che comunicava la punizione irrogata, si è così trasformata in un clamoroso boomerang per l’incauto padre del bulletto, finito sulle prime pagine dei giornali come esempio negativo di esercizio della paternità.
La vicenda merita una riflessione. La stampa e l’opinione pubblica si sono schierate in questo caso a favore dell’insegnante, e dunque in qualche modo a favore dell’istituzione, evitando di banalizzare o relativizzare la questione, come è successo in altre occasioni. Bene, ci sembra la via maestra, perché ciò di cui soffre il sistema educativo italiano è soprattutto la crisi dell’immagine e del prestigio sociale della scuola e di chi ci lavora.
Ma ci vuole coerenza: la scuola e gli insegnanti devono essere aiutati a recuperare il dovuto rispetto senza eccezioni e possibilmente senza troppe interferenze da parte delle famiglie, soprattutto in materia di valutazione dell’apprendimento, e anche di comportamento a scuola degli allievi. E’ vero che la nostra Costituzione affida ai genitori il compito di “educare e istruire i figli” (art. 29), ma è anche vero che nell’articolo 33, specificamente riferito alla scuola, si afferma che è compito della Repubblica di “istituire scuole di ogni ordine e grado” e di dettare le norme generali del loro funzionamento. Tra le quali è giusto annoverare anche quelle che riguardano i diritti e i doveri degli studenti. Adesso è giunto il momento di mettere l’accento sui doveri.